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170 il giorno


e sotto a i colpi del martel frattanto
l’elmo sorgea del fondator latino.
All’altro lato con la man rosata
460Como e di fiori inghirlandato il crine
i bissi scopre ove di idali arredi
almo tesor la tavoletta espone.
Ivi e nappi eleganti e di canori
cigni morbide piume; ivi raccolti
465di lucide odorate onde vapori;
ivi di polvi fuggitive al tatto
color diversi o ad imitar d’ApoIlo
l’aurato biondo o il biondo cenerino
che de le sacre Muse in su le spalle
470casca ondeggiando tenero e gentile.
Che se a nobil eroe le fresche labbra
repentino spirar di rigid’aura
offese alquanto, v’è stemprato il seme
de la fredda cucurbita; e se mai
475pallidetto ei si scorga, è pronto all’uopo
arcano a gli altri eroi vago cinabro.
Né quando a un semideo spuntar sul volto
pustula temeraria osa pur fosse,
multiforme di nèi copia vi manca,
480ond’ei l’asconda in sul momento, ed esca
piú periglioso a saettar co i guardi
le belle inavvedute, a guerrier pari
che, giá poste le bende a la ferita,
piú glorioso e furibondo insieme
485sbaragliando le schiere entra nel folto.
     Ma giá velocemente il mio signore
tre volte e quattro il gabinetto scorse
col crin disciolto e su gli omeri sparso,
quale a Cuma solea l’orribil maga
490quando, agitata dal possente nume,
vaticinar s’udia. Cosí dal capo
evaporar lasciò de gli oli sparsi