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iii - il vespro 137


da la turba de’ servi al vomer tolti,
perché oziosi poi di retro pendano
420al carro trionfai con alte braccia.
Male a Giuno ed a Pallade-Minerva
e a Cinzia e a Citerea mischiarvi osate
voi pettorute naiadi e napee,
vane di picciol fonte o d’umil selva,
425che a gli egipani vostri in guardia diede
Giove dall’alto. Vostr’incerti sguardi,
vostra frequente inane maraviglia,
e l’aria alpestre ancor de’ vostri moti
vi tradiscono, ahi lasse! e rendon vana
430la multiplice in fronte ai palafreni
pendente nappa ch’usurpar tentaste,
e la divisa onde copriste il mozzo
e il cucinier che la seguace corte
accrebber stanchi, e i miseri lasciáro
435canuti padri di famiglia soli
ne la muta magion serbati a chiave.
Troppo da voi diverse esse ne vanno
ritte negli alti cocchi alteramente;
e a la turba volgare che si prostra
440non badan punto: a voi talor si volge
lor guardo negligente e par che dica:
— Tu ignota mi sei; — o nel mirarvi
col compagno susurrano ridendo.
     Le giovinette madri de gli eroi
445tutto empierono il corso, e tutte hati seco
un giovinetto eroe o un giovin padre
d’altri futuri eroi che a la teletta,
a la mensa, al teatro, al corso, al gioco,
segnaleransi un giorno; e fien cantati,
450s’io scorgo l’avvenir, da tromba eguale
a quella che a me diede Apollo, e disse:
— Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti
del secol tuo. — Sol tu manchi, o pupilla