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266 il giorno


t’è serbata, o signor, se ardirá mai,
ch’io non credo però, l’alato veglio
80Smovere alcun de’ preziosi avori
onor de’ risi tuoi, si che le labbra
si ripieghino a dentro, e il gentil mento
oltre i confili de la bellezza ecceda.

VIII.

     Ma d’ambrosia e di nettare gelato
anco a i vostri palati almo conforto,
terrestri deitadi, ecco sen viene;
e cento Ganimedi, in vaga pompa
5e di vesti e di crin, lucide tazze
ne recan taciturni; e con leggiadro
e rispettoso inchin, tutte spiegando
dell’omero virile e de’ bei fianchi
le rare forme, lusingar son osi
10de le Cinzie terrene i grandi obliqui.
Mira, o signor, che a la tua dama un d’essi
lene s’accosta e con sommessa voce
e mozzicando le parole alquanto,
onde pur sempre al suo signor somigli,
15a lei di gel voluttuoso annuncia
copia diversa. Ivi è raccolta in neve
la fragola gentil che di lontano
pur col soave odor tradí se stessa;
v’è il salubre limon; v’è il molle latte;
20v’è con largo tesor culto fra noi
pomo stranier che coronato usurpa
loco a i pomi natii; v’è le due brune
odorose bevande che pur dianzi,
di scoppiato vulcan simili al corso,
25fumanti, ardenti, torbide, spumose,
inondavan le tazze; ed or congeste
sono in rigidi coni a fieder pronte
di contraria dolcezza i sensi altrui.
Sorgi tu dunque, e a la tua dama intendi
30a porger di tua man, scelto fra molti,
il sapor piú gradito. I suoi desiri