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282 | le odi |
dicendo: — Oh fortunate
genti, che in dolci tempre
quest’aura respirate,
rotta e purgata sempre
65da venti fuggitivi
e da limpidi rivi!
Ben larga ancor natura
fu a la cittá superba
di cielo e d’aria pura:
70ma chi i bei doni or serba
fra il lusso e l’avarizia
e la stolta pigrizia?
Ahi! non bastò che intorno
putridi stagni avesse;
75anzi a turbarne il giorno
sotto a le mura stesse
trasse gli scelerati
rivi a marcir su i prati.
E la comun salute
80sacrificossi al pasto
d’ambiziose mute,
che poi con crudo fasto
calchili per l’ampie strade
il popolo che cade.
85A voi il timo e il croco
e la menta selvaggia
l’aere per ogni loco
de’ vari atomi irraggia,
che con soavi e cari
90sensi pungoli le nari.
Ma al piè de’ gran palagi
lá il fimo alto fermenta;
e di sali malvagi
ammorba l’aria lenta,
95che a stagnar si rimase
tra le sublimi case.