Pagina:Parini, Giuseppe – Poesie, Vol. I, 1929 – BEIC 1889888.djvu/77

Da Wikisource.

egloghe pescatorie 71


     Vedi Mopso, Dameta e Celadone
ch’amati essendo dalle ninfe loro,
30cantan pe’ liti ognor dolci canzone.
     Son io forse men bello di costoro?
Ho pur le luci del color dell’onde,
ho pur le chiome del color dell’oro.
     E se nel volto mio non si diffonde
35quel bel vermiglio che la guancia tinge,
per la tua crudeltate egli s’asconde.
     Pur nessuno di loro i flutti cinge,
coni’ io, con tante e si diverse reti;
né contra i pesci tanti ferri stringe.
     40E sai ben tu se ’l padre mio mi vieti
d’andar col pesce alla cittá sovente;
onde i giorni trarrei felici e lieti,
     poich’io compro ora un fiasco, ora un tridente;
e se ’l denaro il genitor mi chiede,
45tosto cento e piú scuse io volgo in mente;
     e gli vo raccontando, ed ei se ’l crede,
o che ’l perdei, nel ritornar, per via,
o che mancante il comprator mel diede.
     E se non fosse cosí cruda e ria,
50qual meco è sempre, la mia pescatrice,
spesso qualche bel dono anch’ella avria.
     Ma come mai, come sperar ciò lice,
se quella fèra impietosir non ponno
tanti sospiri che ’l mio petto elice?
     55Quando fia mai quel di che in lieto sonno
riposar mi sia dato, e in me si posi
colui ch’è del mio cor signore e donno?
     Ahi! che prima vedrò gl’impetuosi
carabi pace aver colla murena,
60e l’anzie andar co’ labraci spinosi,
     pria di state vedrò bianca la mena,
ch’io possa dire un di: — Quest’è quel giorno,
quest’è l’ora ch’io debbo uscir di pena. —