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del sol, ch’eccelso a te pende sul capo.
Or qui principio le leggiadre cure
denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo
sciorre il mio legno, e co’ precetti miei
ioo te ad alte imprese ammaestrar cantando.
Giá i valletti gentili udir lo squillo
del vicino metal cui da lontano
scosse tua man col propagato moto;
e accorser pronti a spalancar gli opposti
105schermi a la luce, e rigidi osserváro
che con tua pena non osasse Febo
entrar diretto a saettarti i lumi.
Ergiti or tu alcun poco, e si ti appoggia
alli origlieri, i quai lenti gradando
110all’omero ti fan molle sostegno;
poi, coll’ indice destro, lieve lieve
sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua
quel che riman de la cimmeria nebbia,
e de’ labbri formando un picciol arco,
115dolce a vedersi, tacito sbadiglia.
Oh! se te in si gentile atto mirasse
il duro capitan, qualor tra Tarmi,
sgangherando le labbra, innalza un grido
lacerator di ben costrutti orecchi,
120onde a le squadre vari moti impone;
se te mirasse allor, certo vergogna
avria di sé, piú che Minerva il giorno
che, di flauto sonando, al fonte scòrse
il turpe aspetto de le guance enfiate.
125Ma giá il ben pettinato entrar di nuovo
tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede
quale oggi piú de le bevande usate
sorbir ti piaccia in preziosa tazza:
indiche merci son tazze e bevande:
130scegli qual piú desii. S’oggi ti giova
porger dolci allo stomaco fomenti,