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V

FRAMMENTI

DEL SERMONE SULLA COLONNA INFAME

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quando tra vili case in mezzo a poche
rovine i’ vidi ignobil piazza aprirsi.
Quivi romita una colonna sorge
infra l’erbe infeconde e i sassi e ’l lezzo,
ov’uom mai non penétra, perocch’indi
genio propizio all’insubre cittade
ognun rimove alto gridando: — Lungi,
o buoni cittadin, lungi, ché l’suolo
miserabile, infame non v’infetti.—
Al piè della colonna una sfacciata
donna sedea che della base al destro
braccio facea puntello; e croci e rote,
e remi e fruste e ceppi erano il seggio
su cui posava il rilassato fianco.
Ignuda affatto, se non che dal collo
pendeale un laccio, e scritti al petto aveva
obbrobriosi, e in capo strane mitre,
terribile ornamento. Ergeva in alto
la fronte petulante, e quivi sopra
avea stampate con rovente (erro
parole che dicean: — Io son l’Infamia.—
     Io che, Virtú seguendo, odio costei,
anzi gloria immortai co’ versi cerco,
a tal vista fuggia, quando la donna