Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti.pdf/125

Da Wikisource.

Rimarranno essi soggetti alte incapacità pronunciate dall’articolo 71A del Codice civile? Se la legge cbe discutiamo nulla statuirà in proposito, le incapacità continueranno a sussistere. Il progetto ministeriale sciogliendo;conventi toglieva le incapacità e restituiva ai religiosi i loro diritti. Gli emendamenti votati dal Senato nulla esprimono a questo riguardo, ma l’intendimento che trasparisce dal loro complesso e che fu meglio chiarito dai discorsi dei proponenti, è di mantenere gli attuali religiosi nello stato in cui erano, rispettando i loro voti e le loro regole, Ora le incapscitàpronuneiate dal Codice sono inerenti a questi voti che la legge civile non può sciogliere, alia qualità dì religioso che essa continua a pienamente riconoscere. La legge dunque non potrebbe rivocare queste incapacità seDza porsi in contraddizione con sé stessa e non può ammettervi altro rimedio fuorché la secolarizzazione pronunciata da ehi può operarla, dal Capo della Chiesa. Non potrebbe valere in contrario l'esempio di ciò che venne statuito nel 1801. In allora i conventi vennerodisciolti. I religiosi cacciati dai chiostri cessarono di essere religiosi agli occhi del legislatore civile. Sebbenelacondizione dei religiosi attuali sembri abbastanza certa a fronte degli articoli già votati da! Senato, tuttavia per la convenienza di rimuovere ogni occasione di dubbi in materia tanto dilicata ed importante, la Commissione proporrebbe un’apposita disposizione dichiarativa in ordine alla conservazione dell’odierno loro stato, e con ciò verrebbe anche definitamente risolto il dubbio che fu sollevato nelle ultime nostre discussioni sulla facoltà di questuare che conservano i membri attuali degli ordini mendicanti. Noi, io abbiamo già detto, non disconosciamo che questo stato di cose ha pure i suoi inconvenienti, e mentre rispetta, come era da desiderarsi, la quiete e la coscienza dei molti che intendono continuare la vita monastica, è duro a coloro che aspirano ad uscirne. Per rimediarvi noi non vedremmo altro mezzo che quello di agevolare, per quanto può dipendere dal potere civile, l’ottenimento delle secolarizzazioni. Nello stato attuale della legislazione il religioso che ottenga d’essere secolarizzato non ha il diritto dì pretendere sovvenzione alcuna dalla casa cui apparteneva, ancorché ella possa essere doviziosa, e nemmeno alle religiose si restituiscono le loro doti. Solamente in alcuni casi speciali e più particolarmente in quelli di secolarizzazione forzata, alcuni stabilimenti ricchi od agiati hanno assegnala al membro sortente un’allocazione alimentaria. Noi faremmo una disposizione assai più favorevole ai secolarizzati. A quelli i quali sborsarono un capitale a titolo di dote od altrimenti per entrare in religione, la cassa ecclesiastica corrisponderebbe un vitalizio equamente ragguagliato sulla somma pagata in proporzione dell’età della persona. A tutti si riserverebbe una porzione della rendita di cui godevano nel convento. Due terzi, cioè, della quota di cui fruiva il secolarizzato nella vita comune ai momento della uscita dal chiostro sarebbero convertili in sovvenzione a suo favore. Attesa la poca entità dell’allocazione, la Commissione pensò che se ne dovesse permettere il «fistilo con qualunque asseguamento che il secolarizzato venisse a conseguire per occupazioni cui si dedicasse nel secolo, sebbene nel progetto ministeriale un simile cumulo fosse escluso per le pensioni; cosi ì secolarizzati potranno più facilmente trovare un collocamento secondo le loro convenienze e secondo quelle dell’autorità ecclesiastica. li terzo sopravartzante dalla quota dei secolarizzali si applicherebbe a benefizio dei superstiti membri della casa, perchè questi, a misura che si ridurrebbe il loro numero, potrebbero più diffìcilmente campare colla ristretta somma assegnata per ciascun individuo. La medesima ragione di equità ci conduce a proporre una disposizione analoga pei casi di morte di uno dei religiosi rimasti a fare vita comune. Anche in questi casi vorremmo che un terzo della rendita di cui godeva il defunto rimanesse a favore della comunità. Sarebbe però stabilito che il maggiore assegno da farsi alla comunità per conseguenza di morte o secolarizzazione dei suoi membri non potesse giungere a tanto che essa avesse in complesso una rendita maggiore dì lire 700 per ogni individuo. Questo limite è stato ideato per corrispondere, a poco presso, tenuto conto dei vantaggi delia vita comune, al maximum delie pensioni da concedersi in caso di scioglimento finale dell’istituto. Nel corso della discussione un onorando senatore espresse il dubbio che bastasse in tutti i conventi la somma di lire 240 calcolata nel complesso della spesa di ciascuna casa pel costo individuale di mantenimento dei laici e delle converse. Pensiamo che in regola generale, e presa nel suo insieme la rendita delle singole case, quella somma possa essere sufficiente, ma il dubbio può essere fondato per alcuni conventi, riguardo avuto al numero delie persone e tentilo specialmente conto del prezzo dei viveri nel luogo ove sono stabiliti. Quindi abbiamo stimato equo e prudente lo inserire un articolo, in virtù del quale l’amministrazione della cassa ecclesiastica possa eccedere quei limite quando ne sia avverata la convenienza. Uno degli articoli già votati prevede che il Governo, sentita l'amministrazione della cassa ecclesiastica, possa trasferire in altro chiostro i membri di una delle case religiose che cesseranno di avere ia personalità civile. Simili casi avverranno necessariamente allorché i religiosi di nna casa si troveranno ridotti a numero minimo, e sarà nei loro stesso interesse il chiederlo. Ma confidiamo che il Governo non userà senza necessità della facoltà che la legge debbe lasciargli, e, venendone ii caso, conscio della gravità del provvedimento e dell’odiosa responsabilità che assumerebbe, studierà quelle combinazioni e quei riguardi che rendano la misura stessa accettevole a chi ne sarà l’oggetto, o almeno ne attenuino quanto più si possa l’asprezza. Ma due regole stimiamo che possano e debbano essere espresse nella legge. I.’una già derivante dal tenore degli articoli votati, ma meritevole di esplicita dichiarazione, consisterebbe in ciò, che non potrebbero inai essere concentrati insieme i religiosi di due diversi ordini; l’altra prescriverebbe che nel caso di concentramento dei membri di una casa più povera con quelli d’altra più agiata, l’assegnamento s corrispondersi dalla cassa ecclesiastica alla comunità così composta fosse ragguagliato sulla base più favorevole, cioè venisse regolato come se tutti appartenessero alla casa più agiata. Così la cassa ecclesiastica avrà interesse a non promuovere troppo facilmente i concentramenti. I membri delle case più agiate non avranno a temere di vedere deteriorata la loro condizione per l’aggiunta di nuovi compagni, e quelli delle case povere potranno considerare nell’avvenire l’eventualità di un concentramento come favorevole, almeno dal lato del loro interesse economico. Quanda poi avverrà che una casa religiosa si trovi ridotta a così minimo numero di membri che non possa più essere.