Pagina:Parlamento subalpino - Atti parlamentari, 1853-54, Documenti.pdf/266

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che doveva comprendere: Riscatto e liquidazione. Ma il riscatto è conseguenza delia soppressione delie piazze, e la liquidazione debbe avere per effetto il pagamento. I sommi capi in cui è diviso il progetto contengono quindi malerie prestabilite dal potere legislativo; ed il nostro compito sarebbe raggiunto se ci restringessimo a ragguagliare ta Camera del modo onde abbiamo svolte quelle materie nei singoli articoli. Se non che ci corre il debito di rammentare che, quando la discussione delia legge più volte citata ebbe luogo, alcune voci levaronsi in Parlamento per dichiarare l’importanza della parola riscatto; e sebbene questa abbia nel patrio diritto una significazione speciale, pure non si volle per avventura tenere per risoluta la questione, se per via di riscatto, propriamente detto, o di espropriazione avesse a stabilirsi il compenso spettante a’ titolari delle piazze da sopprimere. In ogni modo trattandosi di una questione sollevata nell’interesse di molte famiglie e potendo sempre il legislatore, sino a che non ha provveduto definitivamente sopra una materia, mutare per più accurate indagini le sue risoluzioni, noi abbiamo creduto essere nostro dovere lo studiare con ogni possibile diligenza la elevata quistione, di consultare intorno ad essa uomini competenti e disinteressati prima di seguire l’opinione che abbiamo adottata. La differenza tra l’espropriazione ed il riscatto, come ognun sa, è gravissima ; che il riscatto della cosa alienata si compie dal venditore con la restituzione della somma ricevuta in prezzo, e la espropriazione è compra forzata di cose altrui fatta secondo certe formalità e pel prezzo corrente, accresciuto di un compenso pei danni e l’incomodo cagionati alì’espropriato. Ora noi pensiamo che il Governo, il quale già ne’ secoli scarsi alienò le piazze che oggi la civiltà dei tempi non può più permettere che esistano, possa ricomprarle pel prezzo che ne ottenne alienandole senza essere per nulla obbligato ad espropriarle. Chiunque abbia idea distinta di ciò che queste piazze sono e discreta cognizione delle patrie leggi, non può, per quanto a noi sembra, andare in contraria sentenza. Innanzitutto, rispetto all’indole delie piazze, è da notare che alcune di esse, come quelle di procuratore, comprendono un ufficio ed un privilegio, altre consistono in un semplice privilegio. Le prime, in ciò che concerne l’ufficio, sono, senza alcun dubbio, creazione del potere sovrano, e però materia di regalia; e dacché la loro alienazione toglie al Governo la facoltà di concedere l’ufficio medesimo ad altri individui che non siano di tali piazze acquirenti, ne segue che in realtà equivale ad una specie d’infeudazione di un diritto regale. Oltracciò queste, de! pari che tutte le a lire piazze, inquantocbè sodo privilegi, tengono dell’indole di una confisca del diritto comune quale quello di esercitare una professione, un’industria o un commercio ; confisca fatta a danno di tutti ed a prò di soli pochi individui. In quauto poi prendono forma di proprietà trasmessibiie, sono facoltà concedute ai privati d’investire altri privati del privilegio che le costituisce, il quale neiia origine fu creazione del sovrano. Veramente quella confisca e questa concessione non entrano, razionalmente parlando, fra veri diritti di regalia, che il lavoro ed il libero suo adopramento in arti ed industrie lecite sono oggetto di diritto naturale e proprio d’ogni individuo. Ma fu già opinione un tempo assai diffusa che il permettere di lavorare fosse diritto demaniale e regale, ed in ogni modo lo spogliare i più della facoltà di fare alcuna cosa, se non diritto, è però indubitabilmente atto di potere sovrano, e tale è pure il permesso di perpetuare simile facoltà tramandandola o trasmettendola ad altri. In effetto moltissimi sarebbero concordi nel censurare la creazione e la concessione delle piazze, ma niuno oserebbe affermare che il crearle ed il concederle sia materia di ragion privata; egualmente che non è di ragion privata lo abolirle. II che, se è chiaro per le piazze di qualunque natura, è più che evidente per quelle che contengono un ufficio. Alienandole e facendole trasmessigli, il sovrano alienava una parte del suo potere. Ora, secondo la ragione comune delle genti, e secondo le antiche e le odierne leggi dello Stalo, i diritti sovrani o demaniali, che vogìiansi dire, sono cose di loro natura inalienabili; la loro concessione è nulla ipso iure e tutto al più in alcuni essi, per ragione di buona fede e per rispetto alle erronee opinioni del tempo in cui furono alienate, sono cose riscattabili. Didatti, così negli editti dei 22 aprile 1448, del 10 dicembre 1470, del 23 novembre 1484, dell’8 marzo e del 18 aprile 1490, del 21 agosto 1809, del 12 gennaio 1624 e del 20 gennaio 1720, come nelle costituzioni del 1730 e del 1770 fu stabilito e ripetuto costantemente che le alienazioni per le quali i diritti o beni della Corona e del demanio venissero menomati, sono assolutamente nulie, e che ad alcune di quelle che vennero fatte a titolo oneroso possa applicarsi il riscatto. Nè vale il dire che coteste leggi in realtà intendano parlare di beni materiali o di diritti finanziari, cioè delie imposte da riscuotere, e non di altre specie di regalie. Perciocché persino alla più antica delle citate leggi comprendeva anche i feudi, le cui pertinenze solevano essere giurisdizioni o altri diritti regali e sovrani. Del pari, anzi più distintamente, gli editti eie costituzioni posteriori parlano di diritti e di beni in genere, e tutte acquistano nuova luce dall’articolo 428 del Codice civile, il quale articolo è puramente dichiarativo, e dire: « I diritti e beni regali e demaniali sono per legge fondamentale della Corona inalienabili, per qualunque titolo si gratuito che oneroso; e qualsiasi concessione o alienazione sarà nulla di pien diritto non ostante tutte le derogatorie che vi fossero apposte. » Oltreché questa distinzione fra diritto e beni non sarebbe neppur necessaria nelle nostre leggi, le quali annoverano sempre fra i beni i diritti valutabili ; ond’è che non potrebbe cadere sulla presente quistione un’ombra sola di dubbio, ancorché di soli beni si discorresse. Diffatti le piazze sono dalle antiche patenti di concessione e dai Codice civile medesimo considerate come beni immobili; anzi appunto per ciò pretenderebbesi da titolari di esse piazze che fossero espropriate. Delle due l’una dunque: o queste piazze sono ragguagliate a beni immobili; e come uffici e privilegi che il solo sovrano può conferire o togliere, sono beni di loro natura demaniali, e quindi soggetti a riscatto ; ovvero sono diritti regali, che non possono rivestire, neppure per finzione legale, i caratteri di beni venali, ed in questa ipotesi non solo non potrebbero essere espropriate, ma dovrebbero essere rivendicate dal Governo senza compenso di sorta. In effetto con patenti del 1620 e 1623 vennero, per esempio, riconosciuti e confermali i privilegi dei causidici di Torino, tra i quali eravi quello « di nou potere essere convenuti in prima istanza, dinanzi ad altro giudice che al Senato » (patenti del 1888). E fu loro nel medesimo tempo conferito il titolo di nobiltà de! Sacro romano impero, con facoltà di acquistare feudi e giurisdizioni ; ed accordato altresì i! per-