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abbiamo tali epigrammi di quattro scrittori, Pompilio, Valerio Aedituo, Porcio Licinio o Licino, Quinto Catulo; e un verso di Tito Quintio Atta. Quest’ultimo, poeta di togate, morto nel 677, è citato in epigrammatibus. Pompilio fu discepolo di Pacuvio come Pacuvio di Ennio ed Ennio delle Muse: egli dice di sè in un distico che probabilmente è di Varrone e fu conservato da Nonio. Fu autore dunque dramatico anch’esso. Catulo fu console nel 652. I loro epigrammi, salvo quello di Pompilio che è del genere degli scoptica, derivano dalla musa paidice degli alessandrini. Di uno di Catulo (il primo) conosciamo sicuramente anche il modello1. Noi non possiamo partecipare nè all’ammirazione di Aulo Gellio, che come i buoni vecchi pedanti amava le chicche, nè alla stima di Cicerone che riporta il secondo di Catulo, porgendo così indizio di ciò che ho affermato più su. In una parete di Pompei fu trovato un aitro saggio di questo genere dove è continuamente discorso di freddo e di caldo, le quali parole ne possono dare la definizione: amore espresso freddamente. Di Porcio Licino restano anche dodici settenari trocaici contro Terenzio per le sue relazioni coi grandi di Roma. Altri due versi pur settenari rimangono, in cui afferma che la poesia entrò in Roma nella seconda guerra punica; il che sotto un certo

  1. Pag. 19-21. Leggi in L’Epigramma latino di Salomone Piazza (Padova, Drueker, 1898) da pag. 101 a pag. 126 una bella e piena trattazione su questi epigrammi. Troppo tardi io l’ebbi per profittarne nel testo degli epigrammi e qui; specialmente riguardo al 1º di Valerio Aedituo, che ravvicinato all’ode 2 di Sappho è più verisimilmente emendato dal Piazza.