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a essere tra i poeti «nuovi». Porphyrione lo ricorda avanti Orazio come il solo che abbia scritto liriche, dimenticandosi, per non dire altri, Catullo. Soggiunge: sed videntur illa non Graecorum lege ad lyricum characterem exacta. In verità egli in versi lirici sembra fosse raccontatore di storielle allegre. Gellio ne ammirava l’arditezza e la novità nelle espressioni, specialmente nei composti. Sappiamo da lui stesso che egli aveva dei censori molto fieri che chiamava vituperones subducti supercili carptores, i quali dovevano inarcare le ciglia tanto per l’audacia della sua elocuzione quanto per la licenza della sua parola. L’opera sua era intitolata Erotopaegnion, in sei libri. Sono ricordate come parti di essa l’Adone, la Io, la Protesilaudamia, la Sirenocirca, i Centauri, l’Alcestis. Prisciano lo cita in polymetris. Un giochetto secondo l’uso degli alessandrini che figuravano coi versi più brevi e più lunghi la cosa di cui verseggiavano, (la Scure, le Ali d’Amore, l’Altare, l’Ovo di rondine, la Zampogna, di Theocrito questa ultima) era il Pterygion Phoenicis1. Quanto alla sua vita, condizione, morte, nulla. Forse secondo il Buecheler, egli è il Laevius Melissus di Suetonio (Gramm. 3); un li-

  1. Su Laevio bisogna leggere alcuni ragionevoli dubbi del valente Eleuterio Menozzi (sui frammenti etc. 1895 Loescher). Però alla sua negazione che possano esistere carmi «di contenuto mitologico narrativo e dialogico» in metri lirici, si può, mi pare, con fortuna opporre l’Attis di Catullo sebbene del galliambo esso dica che «è un metro largo e sonoro, quanto l’esametro e adatto quasi quanto questo alla narrazione». Ecco: noi troviamo appunto tra i frammenti di Laevio il pterygion che è in ionici. Non si direbbe che da Laevio a Catullo è, per questo rispetto, come una preparazione? sì che Laevio non dei νεώτεροι è pur l’ultimissimo dei veteres?