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decembris del 689, consoli L. Cotta e L. Torquato, a Venusia, colonia romana, era stato liberalmente educato da suo padre, un liberto riscotitore di gabelle, come dice egli, o, secondo Suetonio, salsamentario. Apprese i primi elementi da un tale Flavio, che insegnava ai figli de’ grandi centurioni di Venusia1. Poi dall’amorevole padre fu condotto a Roma, dove fu alla scuola di Orbilio Pupillo, che dettava, a suon di busse, l’Odissea di Livio Andronico. Dal medesimo però è verisimile che imparasse anche il greco; seppure questa non era sua lingua domestica. Sin dai primi anni in greco lesse il fonte d’ogni poesia, Omero; e si sentì tentato a scrivere in versi in quella lingua. Al che rinunziò vedendo la grande moltitudine di poeti tra cui si sarebbe trovato: segno che già aveva cultura larga e profonda2. Ma se ciò fosse prima della sua andata in Atene o durante la sua dimora colà, è incerto3. Ad Atene si recò verso il 709, a udirvi i

    parmula. Può dunque significare (sebbene vi ripugni parmula, in tanta scarsezza di diminutivi Oraziani) «sentii l’amarezza in Philippi, di quella fuga e di quell’abbandono di scudi», senza la menoma nota di dispregio per sè e per Pompeo Varo. Tecum! Si è mai considerato abbastanza che egli dice «con te»? Oppure significa «sentii l’amaro di quella fuga, quando fu abbandonata la cavalleria, che dovette piegare anch’essa». A ogni modo, lontano ogni cenno d’ignavia. In così fiera battaglia! con così buon commilitone! nel dì del ritorno, nell’ora dei racconti familiarmente eroici!

  1. Hor. Sat. I vi 72.
  2. Sat. I x 31.
  3. Natus mare citra in quel luogo a LMueller pare non si possa dire se non di chi fosse in Italia, allora. Ma citra e ultra sono cenni in latino molto aiutati dalla propria fantasia. Vedi per es. Uv. 21, 26: leggerai citeriore agro, ulteriorem ripam, che rispetto a Livio sono il campo di là e la riva di qua.