Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/163

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la poesia lirica in roma 149

verso impari. Erano insomma studi metrici questi, ed è molto simile al vero che fossero fatti già prima di rinunziare alla poesia iambica: tanto più che hanno, per la contenenza, un carattere così generico e sbiadito che sembrano esercitazioni con appena appena un’ombra di realtà. Il poeta provava il nuovo strumento. E a me sorride il pensare che il primo suo canto veramente e francamente melico sia il propemptico a Vergilio, al dolce amico, suggerito forse più che dal disegno non colorito d’un viaggio di Vergilio, dal fatto avvenuto del viaggio di Mevio1. Di ciò potrebbe persuadere la sproporzione delle parti, il tumore dello stile, l’oscurità del tutto, difetti che vi si trovano al certo, se indussero il Peerlkamp a considerare l’ode per gran parte fattura d’altri che Orazio2. Ma sia d’Orazio, tutta; è delle prime però. Come è delle prime, quando la via non era ancora piana e il passo sicuro, la profezia di Nereo a Paride, che sarebbe al tutto un’esercitazione più retorica che poetica, se non avesse, qua e là, cenni allegorici ad Antonio e Cleopatra3. Così è allegoria, e non ben condotta, l’apostrofe

  1. C. IV [I-III].
  2. Il Peerlkamp rifiuta i vv. 15-20, e i vv. 25-36. All’obbiezione sua (di cui vedi a pag. 170 nota al v. 36, e in fine) Hercules non erat homo, si può bensì rispondere oltre che con Tac. Ann. IV 38 optumos quippe mortalium altissima cupere: sic Herculem et Liberum apud Graecos; oltre che con quella faccia del mito secondo la quale i giganti erano invincibili, se con gli dei non era anche un uomo, Heracles appunto; si può rispondere che persino in Orazio Hercules è uomo che si conquista l’immortalità; ma è, a ogni modo, un esempio che invita a tentare, non a posare.
  3. C. V. [I-XV].