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modo, il sentimento religioso e amoroso, finchè nell’adonio, a un tratto, si leva, continuando senza mutamento, à un’esclamazione o a un lamento. Nell’alcaica invece l’anacrusi dà un soffio o spinta iambica ai trochei, anapestica ai dattili; e quando il ritmo al terzo verso sembra appaciarsi nella doppia dipodia, guizzano i due dattili e prorompe il doppio adonio del quarto. Con lo stesso translato che fece chiamare femminile la cesura dopo tesi e maschile quella dopo arsi, noi per la conclusione sempre acataletta degli endecasillabi sapphici e sempre catalettica degli Alcaici, potremmo chiamare maschile la strofa di Alcaeo, e femminile quella di Sappho: pensiero questo a cui forse ubbidirono gli antichi grammatici ponendo tali nomi a quei metri. Perchè in tutti e due i poeti è questa e quella strofa; e non si può affermare in alcun modo, non ostante che Alcaeo sia detto un poco più vecchio di Sappho, chi de’ due sia l’inventore dell’una o dell’altra. Forse vi era tra i due qualche differenza nel trattarle forse, per es., Alcaeo nelle due sedi prime degli endecasillabi sapphici, poneva sempre l’epitrito, mentre Sappho spesso il ditrocheo. Nel fatto, Catullo che si modellava su Sappho, ha qualche volta i due trochei, Orazio che emulava Alcaeo, ha sempre trocheo e spondeo. Ma più che certi atteggiamenti, egli prese dal Lesbio gli spiriti e il senso del metro1. Cesare ritorna per trionfare. È il 725: sono corsi quindici anni dall’uccisione, che gettò di nuovo il mondo nella tempesta. Se nella strofa alcaica il poeta espresse il fremito di gioia che lo

  1. C. XIV [I-X].