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armi Romane da parte d’un altro popolo! E i Romani, piuttosto che vendicarsi o difendersi, si uccidevano tra loro! placavano anzi col loro sangue le ombre dei nemici già trionfati in altri tempi! Quanto sangue, quanto sangue! Il poeta ammonisce sè stesso a cercare altri canti, invece di queste nenie funebri1. Anche dall’inno trionfale, dopo simili lotte, è inseparabile la tristezza. I vincitori vogliono che il poeta narri le loro gesta, ma egli non può. È colpa dell’arte non pari a quel soggetto eroico, o dell’anima negata a quelle compiacenze crudeli? Si meriterebbe l’accusa di giudicare cose antiche con senso moderno chi asseverasse che era l’anima che non si prestava alla gioia funebre della vittoria civile. Eppure l’interruzione al fine della detta ode ha molto significato. A ogni modo, Orazio stesso diceva che era colpa dell’arte. Crediamogli. «O Agrippa, Un altro cantore ti occorre per le tue gesta eroiche: Vario, il poeta epico. Io canto non battaglie, ma conviti, o battaglie sì ma di fanciulle»2 «O Maecenate, narra tu in prosa le battaglie di Cesare; io non so dire che di Eicymnia, che canta così dolce e danza così snella»3.

X.

Convivii e amori! la melica torna donde mosse. In Alcaeo più che delle poesie politiche (troppo diversi gli uomini, le città, i tempi) trovava delle

  1. C. XV [II-I].
  2. C. XVI [I-VI].
  3. C. XVII [II-XII].