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contengono come la testimonianza della sua vita poco dignitosa e libera, così la sua scusa. Sono esse non tutte poesie «comandate», poesie «mendicanti»: qualche volta ci mostrano il cuore di Stazio, che era buono, e i suoi dolori, che non erano pochi e piccoli. Ne risulta, per esempio, che il poeta cercava piuttosto la lode e la gloria, che il danaro. E tante altre cose si vedono! Per esempio ancora: non commuove il sentire (nella quinta del libro III) il suo dolore perchè la sua figlia, figlia veramente di sua moglie la quale egli sposò vedova, la sua figliastra che ama come figlia, consuma la sua giovinezza in solitudine infeconda? che non trova marito, insomma. E sì che è bella e buona, e sa sonare la chelys e cantare e danzare! Ma tanta grazia cessat: è non vista, è obliata, è oziosa. Perchè? Il perchè è forse questo: è povera la tua figlia, o povero poeta! Le smanacciate e le lodi toccano ai poeti, e le mancie, alcuna volta; ma una «posizione» di rado. E anche quel po’ di gloriola quanto è contrastata! Stazio che vinse tre volte la corona poetica nell’agone Albano, nel Capitolino fu vinto. E dallo stesso carme che citai, si vede quale sventura fu quella per Stazio. Sventura familiare: la moglie piangeva con lui, accusando Giove1. Non si abbia a sdegno di entrare, dopo tanti secoli, nell’anima del poeta, che Dante assolse e mandò in cielo. Egli chiama senium la sua età quando giungeva sì e no

    liano X iii 17: decurrere per materiam stilo quam velocissimo volunt, et sequentes calorem atque impetum ex tempore seribunt. Itane silvam vocant.

  1. Silv. III v. 60, sgg. 41 sgg.