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versie e disinganni? Ma lasciamo l’uomo per gli uomini. Io credo che tutti i popoli in tutti i tempi trovino nel passato della loro storia ciò che a mano a mano le singole persone nel passato della loro vita: qualche cosa di bello, o di meglio, che allora però non appariva quello che ora. Ma perchè un popolo abbia il suo epos, e l’abbia tale quale è quello di Omero, occorre ben altro. Occorre, oltre un fondo di miti ricchissimo e una agilità d’imaginazione straordinaria, oltre una lingua così duttile come la greca e un verso così potente come l’esametro, occorre che quel popolo sia, per così dire, come il Nestore omerico: che gli si siano bensì consumate due generazioni d’eroi, ma che tra i terzi viva ancora e regni. Dice il vecchio1: «Chè già una volta io pur con migliori che voi Uomini vissi insieme, e non mai me essi spregiavano. Chè non mai tali vidi uomini nè potrò vedere Quale e Peirithoo e Dryante, pastore di popoli, E Caineo e Exadio e il pari a un dio Polyphemo.... Fortissimi in vero erano quelli tra quanti uomini terreni furono nutriti: Fortissimi erano e con fortissimi combattevano.... e con loro nessuno Di quelli che ora mortali sono terreni, combatterebbe». Nestore non è più quello d’una volta, «Nè più salde membra gli sono i piedi nè più le mani Dagli omeri di qua e di là gli si avventano snelle»2; come quando uccise egli, il più giovane di tutti, Ereuthalione detto il clavigero, là dove quel torrente impetuoso, tutta

  1. Α 260 e segg.
  2. Ψ 627 e seg.