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la poesia epica in roma 207

hesiodo
Per tutto il giorno così banchettarono, senz’aver nulla
homero
Dalla lor casa: imbandiva il sire dei forti Agamemnon1.

È un’esercitazione graziosa fatta quando si voglia e da chi si creda, tardi per certo; ma mi pare che mostri la maniera propria degli artefici che vengono dopo i poeti: Ὁμηρίδαι ῥαπτῶν ἐπέων... ἀοιδοί2. A me pare che ῥαψῳδός prima di significare recitatore, sì dei poemi Omerici sì d’altri carmi, indicasse l’aedo che, venuto già quando le oimai erano da tempo vulgate e trite, si adoperasse a rinnovarle qua e là per gli uditori accostumati, adornandole di particolari tratti ora dal suo umore, ora da un’ispirazione o esigenza locale. Il suo nome veniva dall’abilità sua di cucire alle oimai primitive il suo «panno». Certo, se rhapsodo avesse sempre significato recitatore, non troveremmo tale nome attribuito a Omero stesso, e agli aedi che sono nell’Odyssea, Phemio e Demodoco. Do un esempio di questo lavorìo dei rapsodi. Uno d’essi voleva di Achille, di cui i suoi uditori conoscevano tante imprese eroiche, dare la novità più meravigliosa: rappresentare questo simile agli Dei, questo gigante, questo cuor di leone, questo frangi-schiere e distruggi-città, rappresentarlo bambino, cui, non la madre (la madre di Achille dimorava nella profondità del mare), ma un aio imbocca con la carne tagliata prima accuratamente e col vino; ed il bimbo, sulle ginocchia dell’aio, spesso rigetta

  1. Ἡσιόδου καὶ Ὁμήρου ἀγών nell’Hesiodo del Goettling.
  2. Pind. Nem. II 2.