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Facile è imaginare che da tale lavoro fatto da questo o quello, senza che l’uno sapesse dell’altro, dovevano risultare contradizioni; e sono infatti nell’Iliade e nell’Odissea, nè tutte si possono spiegare con la distrazione del poeta. Ma con questa in vero la spiegavano i Romani, se a ciò si riferisce il noto verso d’Orazio (AP. 359): quandoque bonus dormitat Homerus. Di tali contradizioni ricordiamo Pylaimene, capo dei Paphlagoni ucciso già da Menelao (Ε 576-9), che segue poi il suo figlio morto, versando lagrime (Ν 643-59); Schedio, figlio di Perimede, ucciso da Ettore (Ο 515), che poi, Phoceo bensì ma figlio di Iphito, è ucciso novamente da Ettore (Ρ 306). Questi sono scorsi ben leggieri, anzi per il secondo caso si può trattare di due Schedii. Più gravi altri. Un esempio. Quando il Pelide, preso dalla terribile collera, sta per trarre la spada, alcuno l’afferra per i capelli rossi: Athene, cui aveva mandata Here che Achille e Agamemnone amava di pari amore (Α 194-6, 208-9); ma sappiamo poi da Thetide, la quale accorre al figlio piangente e gli promette di chiedere vendetta a Zeus, che Zeus il giorno avanti si era portato al banchetto degl’incolpevoli Aethiopi e che gli dei «tutti» erano andati con lui (Α 423-4). Più infine l’arte rapsodica che l’inspirazione aedica, spiega la ripetizione frequente di emistichi, cadenze, versi e passi, e le variazioni sul medesimo paragone e sul medesimo episodio. Come si trovano talvolta cenni di canti anteriori dimenticati (conchiglie fossili testimoni di acque ora lontane), così più spesso ci imbattiamo in altri cenni a canti noti, e che pure sarebbero posteriori. Siano esempio i due epiteti ποδώκης, πόδας ὠκύς e πτολίπορθος. Il primo