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la poesia epica in roma 267

intera. Giudicò bene, dove al pregio intrinseco della poesia si aggiungeva quello estrinseco che ad essa dà il tempo e la morte: giudicò bene Ennio e Lucilio. Dove il senso critico non era aiutato dal senso poetico che emana sempre dall’opera passata, allora per quanto ai poeti contemporanei fosse benevolo1, per quanto nel difendere il greco Archia paresse dare la civitas alla poesia tutta, anche a quella meramente artisticà, pure, lasciando il giudizio che egli diede di Lucrezio, che non riesce chiaro, ma non è in fin dei conti favorevole2, egli non apprezzò al loro giusto valore i giovani poeti, quelli che egli chiamava νεωτέρους e novos, quelli che chiamava cantores Euphorionis3. Questi nuovi, questi finissimi poeti (quando non erano, come Cinna, raffinati), anche avendo il torto di attingere al fiume necessariamente un poco impuro piuttosto che alla purissima fonte, e di imitare dagli imitatori e di voler rendere in una letteratura ancora novellina, in cui tutto era ancora da svolgere, i prodotti ultimi d’una letteratura già vecchia (parlo dei tempi di Cicerone o dei nostri? e di quali Alessandrini, di quali νεώτεροι parlo?); toglievano però le ultime incertezze alla prosodia, arricchivano la lingua e lo stile poetico, preparavano Vergilio.

Di loro era Marco Furio Bibaculo. Egli nacque in Cremona, secondo Hieronymo, nel 652; ma la

  1. Plin. ep. III xv 1: M. Tullium mira benignitate poetarum ingenia fovisse.
  2. ad Q. fratr. II ix 3: Lucreti poemata ut scribis ita sunt: multis luminibus ingenii, multae tamen artis: sed cum < ad umbilicum > veneris, virum te putabo; si Sallustii Empedoclea legeris, hominem non putabo.
  3. ad Att. VII ii Or. xlviii 161. Tusc. III xix 45.