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la poesia epica in roma | 283 |
dove era il poema, per bruciarlo. Non gliela portarono ed egli nulla dispose. Ma nel lasciarne copia a Vario aveva ingiunto, come abbiamo detto, che la bruciasse, si quid ipsi accidisset; il che nel testamento era forse espresso con parole coperte ma equivalenti: ne quid ederent (l’ingiunzione era diretta anche a Plozio Tucca) quod non a se editum esset1. Morì pochi giorni dopo essere sbarcato, XI Kal. Oct. C. Sentio Q. Lucretio coss. nell’anno 735. Le sue ossa furono traslate a Neapoli (Napoli). L’Eneide Augusto che interpretò come a lui, fortunatamente per il mondo, piacque, il testamento e quelle parole, volle che si pubblicasse da Vario: summatim emendata, ut qui versus etiam imperfectos sicut erant reliquerit2. Hieronymo riferisce che da Vario e Tucca i libri dell’Eneide furono emendati con la condizione che nulla aggiungessero3, e Servio4 afferma che Augusto li diede ad emendare a Tucca e Vario con il patto che togliessero il superfluo, senza però aggiungere nulla.
Nell’anno 737, come si può sospettare dalla data di Hieronymo (nel 737 Vario e Tucca poetae habentur inlustres — anche Tucca? — qui... postea ecc.); nell’anno dei ludi secolari, come si può arguire dall’eco viva che dell’Eneide risuona nel canto di Orazio, fu pubblicato il poema di Roma, la cui incompiutezza non nuoceva all’effetto: dalle lacune pareva affacciarsi al popolo, come a dire cose alte e grandi, il volto del poeta morto e immortale. E da