Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/305

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la poesia epica in roma 291

allungata, come appunto nel 337, Emicat Euryalus et munere victor amici. Supposizioni: certo, ma insomma si capisce il perchè di quei due versi incompiuti è stato dal poeta spostato alcun che: e l’aiuto che dà ad Euryalo Niso caduto, è l’anticipazione della loro fine gloriosa. Ora Vergilio aveva concepita sulle prime anche la straziante conclusione di quella fine? il pianto della madre? I due versi manchi 295 e 467 ci fanno dubitare che no. Sono essi infatti in qualche relazione tra loro; se Euryalo non parlasse della madre, non avrebbe luogo la risposta di Ascanio nè, quindi, il 295 Tum sic effatur. Se questa madre non la destinasse il poeta allo straziante spettacolo, egli non farebbe infiggere la testa degli amici sulle aste, e non avrebbe luogo il 467, Euryali et Nisi1. Come gli venne in mente, o in cuore, di porre questo pianto di madre? Essa è l’unica madre che sia tra i Troiani ed è serbata a tale vita di dolore! L’unica perchè le altre sono rimaste in Sicilia. Al poeta piacque fare quest’eccezione per trarne tale effetto di pathos. Ma subito? pare di no, e ce lo dice un altro versicolo mezzo, il 653 del V, '2. Qui dunque con qualche probabilità possiamo dire di aver seguito Vergilio nel suo lavorìo e di essere in grado anche d’indovinare come egli avrebbe ripulito all’ultimo il suo lavoro: da una parte, prima due episodi di Omero

  1. Vedi nota al 295. Così si potrebbe attaccare, senza trovare intoppi, al verso 464 Quisque suas variisque acuunt rumoribus iras, il 503: At tuba terribilem sonitum procul aere canoro.
  2. Vedi nota al libro quinto a principio, poi ai versi 604665, quindi al 653.