Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
la poesia epica in roma | 295 |
760Procedo et Priami sedes arcemque reviso.
768Ausus quin etiam voces iactare per umbram;
imaginiamo ancora nel libro III che primamente mancassero i versi 340 e seguente: non sentite l’eco, come ho a dire?, d’un canto che non fu detto e non sarà più detto? non vedete l’ombra, soltanto l’ombra, delle due dolentissime che non sapremo mai come il Poeta volesse porre insieme? E notiamo che qui come altrove i versi incompiuti sono segno d’una aggiunta fatta e da continuare, non d’una interruzione o cancellatura.
Per tornare ad Apollo, egli doveva entrare in qualche modo nella soluzione della profezia lugubre dell’Harpyia aderitque, vocatus Apollo. Ma Apollo invece non è invocato e non si mostra. C’è però un verso interrotto1
129Exitiis positura modum.
Di più non vi è parola dell’Harpyia. Chi ha dato il vaticinio, è, non Celaeno, ma Anchise. E poichè il libro VII, per la menzione che vi è al 606, delle insegne di Crasso restituite, si vuol composto degli ultimi, così dovremmo credere che Vergilio avrebbe modificato il libro III, togliendo tutto l’episodio delle Harpyie. Invece no: considerando la popolarità paesana di quella leggenda, delle mense mangiate per fame, si può congetturare che ella fosse delle prime a essere verseggiata; considerando la parte che ad Apollo è data nel poema, non si deve credere ch’ella avesse a essere sminuita nell’andare avanti e
- ↑ vii 107-140.