Pagina:Pascoli - Antico sempre nuovo.djvu/337

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tatore, quando esso era là sotto le alte torri d’Ebalia, e quegli veniva e si meravigliava de’ suoi fiori, de’ suoi ortaggi, delle sue frutta, dei suoi alberi, dei suoi alveari, e come trapiantasse piante già sollevate per farne viali e filari.

A proposito! Buon custode del bosco vergiliano, dimmi se da te imparò il poeta, come non solo il faggio potesse biancheggiare dei fiori di castagno per via dell’innesto, ma l’orniello reggesse il pero, il platano recasse il melo, e s’insetasse il noce sull’orniello e la quercia sull’olmo1.

È un’arte, codesta, che mi par dimenticata; ma tu forse la sai sempre.

Così io parlo, e il Cilice è sparito, e svanito il bosco di Andes. Non c’è avanti me se non il libro di Virgilio donde esce odor di terra e di sole, e freschezza d’erbe e d’alberi e di fiori; e un senso infinito di pace e amore. E per entro bombiscono api, cinguettano uccelli, belano greggi, mugliano giovenchi, annitriscono polledri; e tintinnano in lontananza quasi sotterranea le cetre, e le zampogne zufolano tra le macchie, e le buccine e le trombe squillano da un luminoso mondo eroico. E si leva un grande inno: Salve, o madre grande di messi, terra della giustizia, grande di eroi! Italia!

  1. Vedi in Georg. IV il passo del vecchio Corycio, e, per gl’innesti, II 69 e seguenti.