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di rado; anzi, una volta sola! Certe cose non si fanno con onore e con frutto se non una sola volta.

Anzi una volta sola e da uno solo. Chi scrive semiritmi seguendo il Capuana, per me non è soltanto imitatore: e pur, se fosse tale, non avṛebbe verso l’arte altre benemerenze che quelle che il microbio ha verso la vita. Oh! io non mi stancherò mai dal dirlo e dal ripeterlo: l’imitazione d’un’opera d’arte è la sua putrefazione. E ha dunque l’imitazione come la sua necessità così la sua utilità! uccide le canzoni vecchie per dar luogo alle nuove canzoni.

Ma gl’imitatori, che di quella putrefazione sono gli agenti, piccoli ma industri e pervicaci, non conferiscono all’arte, se non con opera negativa. E non hanno diritto, che io sappia, a essere ringraziati da quello che imitano o uccidono. Eppur no: il bacillo della febbre gialla qualche volta parla, e dice all’uomo, nelle cui vene brulica: Sono tuo, tutto tuo, sono nelle tue viscere, mi nutro del tuo sangue: amami! Il fatto è che il Capuana, per esempio, non ha alcun dovere di ringraziare i suoi imitatori; che non sarebbero poi imitatori soltanto, ma plagiarii. La trovata di quell’effetto è nell’opera di lui cosa sostanziale; è ciò che è il dato principale e singolare in un dramma. Chi prende quello, anche se lascia o varia tutto il resto, è non meno plagiario di chi trascriva tutto ad litteram. Anzi è qualcosa di peggio, perchè con tentare di nasconderlo, mostra d’aver coscienza che il suo non è un bel fatto, e tuttavia lo fa.

E col Capuana, che è di quelli uomini che amo, sì per l’alto ingegno sì per la grande bontà, lasci,