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Quelli spezzavano l’onde coi remi, temendo la morte.
Bene i due massi sporgenti passò, scivolando nell’alto
mare, il mio legno, ma gli altri si ruppero tutti in un mucchio.


l’isola dell’aurora

Quindi seguimmo la rotta, con nuova una pena nel cuore,
lieti scampati da morte, perduti de’ cari compagni.
Èramo in vista dell’isola Eèa, dove Circe abitava,
Circe dai riccioli lunghi, terribile dea, cantatrice,
propria sorella d’Eeta, colui che dà morte ad altrui.
Nacquero in vero ambedue da quel Sole ch’è luce ai mortali;
ebbero Perse per madre, ch’Oceano vanta per padre.
Quivi in silenzio spingemmo la nave alla spiaggia, ad un porto
dove le navi si celano, e fu certo un nume a guidarci.
Quivi due notti e due giorni continui giacemmo, continuamente,
stanchissimi e con la tristezza mangiandoci il cuore.
Quando il dì terzo portò l’Aurora dai riccioli lunghi,
ecco che presa la lancia con me e la spada appuntita,
dalla mia nave salii prestamente ad un’alta vedetta,
s’opere d’uomo potessi vedere, e sentirne la voce.
Sopra una ripida vetta salii per spiare, e ristetti.
Fumo mi parve veder dalla terra che ha larghe le strade,
nella dimora di Circe, attraverso macchioni e boscaglie.
Quindi ondeggiai dubitoso nell’animo dentro e nel cuore
se a prender voce n’andassi, veduto quel fumo di fiamma.
Pensa e ripensa, mi parve consiglio più utile, andare
prima alla rapida nave, alla spiaggia del mare, e poi dare
cena ai compagni e mandare qualcuno di loro a sentire.