Pagina:Pastor fido.djvu/29

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   Veramante divina, a me sia sposa:
   Ben conosco il tenor de la mia stella:
   Nacqui solo à le fiamme, e ’l mio destino
   D’arder mi feo, non di gioirne degno.
   Ma poi ch’era ne’ fati, ch’io dovessi
   Amar la morte, e non la vita mia,
   Vorrei morir almen, sì che la morte
   Da lei che n’è cagion gradita fosse,
   Ne si sdegnasse à l’ultimo sospiro
   Di mostrarmi i begli occhi, e dirmi muori.
   Vorrei prima che passi à far beato
   De le sue nozze altrui, ch’ella m’udisse
   Almen sola una volta. Hor se tu m’ami
   Ed hai di me pietate, in ciò t’adopra,
   Cortesissimo Ergasto, in ciò m’aita.
   Erg.Giusto desio d’amante, e di chi muore.
   Lieve mercè, ma faticosa impresa,
   Misera lei se risapesse il padre,
   Ch’ella à preghi furtivi havesse mai
   Inchinate l’orecchie, o pur ne fosse
   Al sacerdote suocero accusata.
   Per questo forse ella ti fugge, e forse
   T’ama, ancorche nol mostri, che la Donna
   Nel desiar è ben di noi più frale,
   Ma nel celar il suo desio più scaltra.
   E, se fosse pur ver ch’ella t’amasse,
   Che potrebbe altro far se non fuggirti?
   Chi non può dar aita indarno ascolta,
   E fugge con pietà chi non s’arresta