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156 | parte prima |
pitano dei cacciatori tirolesi. Egli è lì, in atto di un ospite gentile, che aspetti gli invitati.... per far loro gli onori di casa!
E questi un omiciattolo di mezzana statura, grassotto, tarchiatello sulla cinquantina, e cogli occhiali. Rossiccio di pelo e brizzolato; rosso pure in faccia come un melagrano; un tipo piuttosto di Don Pacifico che di Marte guerriero.
Nel vederci irrompere a quel modo, nel suo sgomento, sorrise. Sorpreso dal nostro atto temerario, egli, impedito di vedere ciò che accadeva di fuori, certamente credette che i nostri otto individui altro non fossero che il campione, l’avanguardia, di tutto un reggimento. Credendosi perduto, con moto spontaneo e rapido, si tolse la sciabola, e la consegnò al Della Rovere.
Quella capitolazione parve a noi tanto più strana, in quanto che, alzati gli occhi verso le finestre della cascine, vedemmo una selva di canne di fucile appuntate verso di noi. Erano i tirolesi, rivelati dianzi al Crescio dallo svolazzare delle loro penne di cappone!
Un colpo solo di una di quelle canne, avrebbe facilmente potuto ostruire l’uscita.... e noi avremmo fatto la figura di otto merlotti presi nel paretaio; o peggio, quella di altrettanti piccioni, immolati in una gara di tiro.
Invece, resosi il capitano, anche quelle canne minacciose si ritrassero per incanto. A un cenno di lui, sparirono dalle finestre tutti i pennacchi; e noi, con nuova meraviglia, vedemmo quindici soldati scendere a uno a uno, come tanti frati, la scaletta esterna, e venire a farci omaggio dei loro quindici fucili....
A narrarla non sembra cosa vera. Quei soldati, pensando, forse, che una buona capitolazione a tempo, poteva salvar loro, se non l’onore, almeno la vita, parevano contenti come pasque. Il loro capitano poi, ap-