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380 | parte seconda |
pello a cencio, e dall’aria fremente — Ma quelle decorazioni lì, a una festa patriottica veronese, non si portano!... Ringrazi il cielo che il deputato Imbriani è morto... se no, povero lui!... Abbasso l’Austria!
— Abbasso, perchè? — chiese un ometto monco di un braccio e con una larga cicatrice che gli ornava la fronte — Abbasso perchè?... se oggi siamo costretti a rimpiangere un po’ di Radetzki per salvare l’Italia!... — Poi soggiunse con un sospiro: — Ma, pur troppo, anche gli austriaci non sono più quelli di una volta!
Poco mancò — dininguardi! — che quell’imprudente si facesse rompere le costole dai vicini scandolezzati e furiosi. Ma quando si seppe: che quel braccio l’aveva perduto a S. Martino, che quella ferita se l’era buscata a Montebello, e che a sommo del letto conservava, come trofeo patrio, le catene del galeotto di Josephstadt, sfumò l’ira, gli si fece largo intorno... e nessuno fiatò più.
Chè per buona sorte, chiose, discorsi, discussioni, diverbi, ogni cosa finì, come per incanto, colla venuta di S. M. il Re, a cavallo, seguito da un imponente Stato Maggiore.
Egli si arresta sul piazzale della stazione; scende da cavallo e accompagnato dal sottotenente delle Guardie — ormai svelato — entra nell’angusto locale della stazione, aspettando l’arrivo della reale Consorte.
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Intanto di fuori, la folla pigiata come l’uva nel tino, si calma abbarbagliata dalle corazze della scorta reale scintillanti pel sole che vi saetta dentro.
Scoccano le otto e tre quarti.... Ecco il treno che conduce S. M. la Regina!...
La folla delle autorità eseguisce, anche qui, la solita manovra: una corsa forzata, per arrivare al breack reale, che si è fermato un bel tratto