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Pagina:Pavese - Dialoghi con Leucò.djvu/135

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130 le streghe



parve mai destino, e correva alla morte sapendo cos’era, e arricchiva la terra di parole e di fatti.

leucotea   Oh Circe, non ho i tuoi occhi ma qui voglio sorridere anch’io. Fosti ingenua. Gli avessi detto che il lupo e il maiale ti coprivano come una bestia, sarebbe caduto, si sarebbe imbestiato anche lui.

circe   Gliel’ho detto. Storse appena la bocca. Dopo un poco mi disse: «Purché non siano i miei compagni».

leucotea   Dunque geloso.

circe   Non geloso. Teneva a loro. Capiva ogni cosa. Tranne il sorriso di noi dèi. Quel giorno che pianse sul mio letto non pianse per la paura, ma perché l’ultimo viaggio gli era imposto dal fato, era una cosa già saputa. «E allora perché farlo?» mi chiese cingendosi la spada e camminando verso il mare. Io gli portai l’agnella nera e, mentre i compagni piangevano, lui avvistò un volo di rondini sul tetto e mi disse: «Se ne vanno anche loro. Ma loro non san quel che fanno. Tu, signora, lo sai».

leucotea   Nient’altro ti ha detto?

circe   Nient’altro.

leucotea   Circe, perché non l’hai ucciso?

circe   Ah sono davvero una stupida. Qualche volta dimentico che noialtre sappiamo. E allora mi diverto come fossi ragazza. Come se tutte queste cose avvenissero ai grandi, agli Olimpici, e avvenissero cosí, inesorabili ma fatte di assurdo, d’improvviso. Quello che mai prevedo è appunto di aver preveduto, di sapere ogni volta quel che farò e quel che dirò — e quello che faccio e che dico diventa cosí sempre nuovo, sorprendente, come un gioco, come quel gioco degli scacchi che Odisseo m’insegnò, tutto regole e norme ma cosí bello e imprevisto, coi suoi pezzi d’avorio. Lui mi diceva sempre che quel gioco è la vita. Mi diceva che è un modo di vincere il tempo.