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170 | dialoghi con leucò |
dioniso Per noi tu sei sempre Deò.
demetra Chi direbbe che nella loro miseria hanno tanta ricchezza? Per loro io sono un monte selvoso e feroce, sono nuvola e grotta, sono signora dei leoni, delle biade e dei tori, delle rocche murate, la culla e la tomba, la madre di Core. Tutto devo a loro.
dioniso Anche di me parlano sempre.
demetra E non dovremmo, Iacco, aiutarli di piú, compensarli in qualche modo, essere accanto a loro nella breve giornata che godono?
dioniso Tu gli hai dato le biade, io la vite, Deò. Lasciali fare. C’è bisogno d’altro?
demetra Io non so come, ma quel che ci esce dalle mani è sempre ambiguo. È una scure a due tagli. Il mio Trittòlemo per poco non si è fatto scannare dall’ospite scita cui recava il frumento. E anche tu, sento, ne fai scorrere di sangue innocente.
dioniso Non sarebbero uomini, se non fossero tristi. La loro vita deve pur morire. Tutta la loro ricchezza è la morte, che li costringe a industriarsi, a ricordare e prevedere. E poi non credere, Deò, che il loro sangue valga piú del frumento o del vino con cui lo nutriamo. Il sangue è vile, sporco, meschino.
demetra Tu sei giovane, Iacco, e non sai che è nel sangue che ci hanno trovato. Tu corri il mondo irrequieto, e la morte è per te come vino che esalta. Ma non pensi che tutto i mortali han sofferto quel che raccontano di noi. Quante madri mortali han perduto la Core e non l’hanno riavuta mai piú. Oggi ancora l’omaggio piú ricco che san farci è versare del sangue.
dioniso Ma è un omaggio, Deò? Tu sai meglio di me che uccidendo la vittima credevano un tempo di uccidere noi.
demetra E puoi fargliene un torto? Per questo ti dico