Pagina:Pavese - Dialoghi con Leucò.djvu/191

Da Wikisource.
186 le muse



mosche d’estate — quest’è il vivere che taglia le gambe, Melete.

mnemòsine   Io vengo da luoghi piú brulli, da burroni brumosi e inumani, dove pure si è aperta la vita. Tra questi ulivi e sotto il cielo voi non sapete quella sorte. Mai sentito cos’è la palude Boibeide?

esiodo   No.

mnemòsine   Una landa nebbiosa di fango e di canne, com’era al principio dei tempi, in un silenzio gorgogliante. Generò mostri e dèi di escremento e di sangue. Oggi ancora i Téssali ne parlano appena. Non la mutano né tempo né stagioni. Nessuna voce vi giunge.

esiodo   Ma intanto ne parli, Melete, e le hai fatto una sorte divina. La tua voce l’ha raggiunta. Ora è un luogo terribile e sacro. Gli ulivi e il cielo d’Elicona non son tutta la vita.

mnemòsine   Ma nemmeno il fastidio, nemmeno il ritorno alle case. Non capisci che l’uomo, ogni uomo, nasce in quella palude di sangue? e che il sacro e il divino accompagnano anche voi, dentro il letto, sul campo, davanti alla fiamma? Ogni gesto che fate ripete un modello divino. Giorno e notte, non avete un istante, nemmeno il piú futile, che non sgorghi dal silenzio delle origini.

esiodo   Tu parli, Melete, e non posso resisterti. Bastasse almeno venerarti.

mnemòsine   C’è un altro modo, mio caro.

esiodo   E quale?

mnemòsine   Prova a dire ai mortali queste cose che sai.