Pagina:Pavese - Il mestiere di vivere.pdf/110

Da Wikisource.
106 1938


9 luglio.

In nessuna attività è buon segno se all’inizio c’è la smania di riuscire — emulazione, fierezza, ambizione, ecc. — . Si deve cominciare ad amare la tecnica di ciascuna attività per se stessa, come si ama di vivere per vivere.

Solo questa è vera vocazione e pegno di seria riuscita. In seguito potranno venire tutte le passioni sociali immaginabili a rimontare il puro amore della tecnica — è debito che vengano anzi — ma cominciare da loro è indizio di scioperataggine. Bisogna insomma amare un’attività, come se non ci fosse nessun altro al mondo, per se stessa. Per questo il momento significativo è quello degli inizi: perché allora è come se il mondo (passioni sociali) non esistesse ancora rispetto a quest’attività.

Anche perché sono tutti capaci a innamorarsi di un lavoro che si sa quanto renda; difficile è innamorarsi gratuitamente.

13 luglio.

È peccato ciò che infligge rimorso.

Che le stesse cose, per uno siano peccato per altri no (5 maggio ’36) è naturale: basta non averne rimorso. Come fare? Fare come dice 22 giugno ’38. Levarsi intanto di testa che il rimorso sia una realtà assoluta che infallibilmente piomba addosso. Lo provano solo coscienze particolarmente educate. Si può quindi educarsi in modo da non sentirlo. Dicono che sentirne per molte e molte azioni dove l’ineducato non sente nulla, sia pegno di finezza e ricchezza interiore. È poi vero? Non è concepibile una ricchezza interiore che non porti ad esclusione di stati di coscienza, ma li accetti tutti quanti, anche quelli che solitamente dànno rimorso? Qui c’è un sofisma, perché se qualunque genere di stato di coscienza è arricchimento, anche quello di rimorso è arricchimento, e si torna al punto di prima.

Ma parlando di arricchimento si parla di godimento. Diremo dunque che anche lo stato di rimorso è benvenuto, non in se stesso (ché, come ogni dolore — 17 giugno — è nella sua attualità impoverimento, anchilosamento, impietramento) ma come premessa del