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10 dicembre.

L’ozio rende lente le ore e veloci gli anni. L’operosità rapide le ore e lenti gli anni. L’infanzia è la massima operosità perché occupata a scoprire il mondo e svariarselo.

Gli anni diventano lunghi nel ricordo se ripensandoci troviamo in essi molti fatti da distendervi la fantasia. Per questo l’infanzia appare lunghissima. Probabilmente ogni epoca della vita si moltiplica nelle successive riflessioni delle altre: la piú corta è la vecchiaia perché non sarà piú ripensata.

Ogni cosa che ci è accaduta è una ricchezza inesauribile: ogni ritorno a lei l’accresce e l’allarga, la dota di rapporti e l’approfondisce. L’infanzia non è soltanto l’infanzia vissuta, ma l’idea che ce ne facemmo nella giovinezza, nella maturità, ecc. Per questo appare l’epoca piú importante: perché è la piú arricchita dai ripensamenti successivi.

Gli anni sono un’unità del ricordo; le ore e i giorni, dell’esperienza.

20 dicembre.

Al gusto della battuta significativa e bizzarra, sostituire il pensiero significativo e bizzarro non piú dialogato, ma approfondito a tessuto connettivo della storia.

La prima è realismo descrittivo, il secondo è costruzione.

Via i personaggi che dicono cose intelligenti: le cose intelligenti devi saperle tu e distenderle a costruzione della storia.

26 dicembre.

Il carcere deve apparire come il limite di ogni carità, il congelamento della simpatia umana, per cui la storia è, in fase ascendente, lo sciogliersi di queste pareti (la stranezza del mondo nuovo non dev’essere fine, ma mezzo a che meglio risalti lo stupore) e, in fase discendente, l’orrore del nuovo richiudersi di un altro, e qui di nuovo la stranezza accrescerà la gravità della solitudine.