Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/14

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l’Italia centrale. Parlava con un accento scolpito che piaceva a Stefano, e si vedevano qualche volta all’osteria.

Seduto sullo scoglio col mento sulle ginocchia, Stefano socchiudeva gli occhi verso la spiaggia desolata. Il grande sole versava smarrimento. La guardia aveva accomunata la propria sorte alla sua, e l’improvvisa pena di Stefano era fatta di umiliazione. Quello scoglio, quelle poche braccia di mare, non bastavano a evadere da riva. L’isolamento bisognava spezzarlo proprio fra quelle case basse, fra quella gente cauta raccolta fra il mare e la montagna. Tanto piú se la guardia — come Stefano sospettava — solo per cortesia aveva parlato di civiltà.

La mattina Stefano attraversava il paese — la lunga strada parallela alla spiaggia — e guardava i tetti bassi e il cielo limpido, mentre la gente dalle soglie guardava lui. Qualcuna delle case aveva due piani e la facciata scolorita dalla salsedine; a volte una fronda d’albero dietro un muro suggeriva un ricordo. Tra una casa e l’altra appariva il mare, e ognuno di quegli squarci coglieva Stefano di sorpresa, come un amico inaspettato. Gli antri bui delle porte basse, le poche finestre spalancate, e i visi scuri, il riserbo delle donne anche quando uscivano in istrada a vuotare terraglie, facevano con lo splendore dell’aria un contrasto che aumentava l’isolamento di Stefano. La camminata finiva sulla porta dell’osteria, dove Stefano entrava a sedersi e sentire la sua libertà, finché non giungesse l’ora torrida del bagno.

Stefano, in quei primi tempi, passava insonni le notti nella sua catapecchia, perch’era di notte che la stranezza del giorno lo assaliva agitandolo, come un formicolio del sangue. Nel buio, ai suoi sensi il brusio del mare diventava muggito, la freschezza dell’aria un gran vento, e il ricordo dei visi un’angoscia. Tutto il paese di notte s’avventava entro di lui sul suo corpo disteso. Ridestandosi, il sole gli portava pace.

Stefano seduto davanti al sole della soglia ascoltava la sua libertà, parendogli di uscire ogni mattina dal carcere. Entravano avventori all’osteria, che talvolta lo disturbavano. A ore diverse passava in bicicletta il maresciallo dei carabinieri.

L’immobile strada, che si faceva a poco a poco meridiana, passava da sé davanti a Stefano: non c’era bisogno di seguirla. Stefano aveva sempre con sé un libro e lo teneva aperto innanzi e ogni tanto leggeva.


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