Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/170

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dietro la casa. Allora torno sotto, accendo la sigaretta, e mi siedo sul trave a guardare le punte delle piante.

Il primo che compare era il cane. — Anche tu fai la guardia a Talino, — gli dico; e quel bestione mi viene ad annasare, e si vede ch’ero già di famiglia perché voleva leccarmi. — Tu no, — gli dico, e lui mena la coda. Poi dalla porticina della stalla si sporge Miliota e mi chiama.

Allora vado per ripassare i sacchi, perché ero stufo di far niente, ma trovo invece il vecchio che voleva un consiglio sulla legna per la macchina. — Come legna è meglio il carbone, — gli dico, ma il vecchio mi fa vedere sotto il letamaio i rosticci dell’anno prima e mi lascia capire che carbone ce n’è, ma che aveva paura di far scoppiare la macchina.

— Vediamo il carbone.

Ne aveva un mezzo sacco nel portico del grano, e gli dico ridendo: — Poco carbone fanno poche atmosfere.

— L’ha detta anche Ernesto l’altr’anno questa cosa qui.

— Vuol dire che sa il suo mestiere.

— La legna non basta?

— È come se voleste levarvi la fame masticando tabacco. Ce n’è carbone in paese?

Ce n’era sí, ma il vecchio era fisso che darne troppo alla macchina fosse come dar troppo vino ai lavoranti.

Nel bello della discussione sentiamo stridere un carro e compare il giallo del grano su dalla strada del prato. Sopra c’era uno grasso col fazzoletto al collo, e di fianco ai buoi, per suo conto, se ne veniva Ernesto con la giacchetta sotto il braccio.

— Miliota, — grida il vecchio voltato alla casa, — chiama Talino che ci aiuti a scaricare.


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