Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/200

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III.

Da quella volta Amelia venne sovente a prenderla, per uscire o per discorrere insieme. Entrava nella stanza e parlava forte e non lasciava dormire Severino. Quando Rosa passava nel pomeriggio a chiamar Ginia, le trovava tutte e due pronte a uscire. Amelia finiva la sua sigaretta — quando l’aveva — e dava dei consigli a Rosa che le aveva raccontata la storia del suo Pino. Si capiva che nella sua portieria non stava volentieri, e non avendo niente da fare tutto il giorno si accontentava della loro compagnia. Anche con Rosa, che quand’erano sole prendevano in giro, Amelia scherzava facendo finta di non credere alle sue storie e ridendole in faccia.

Ginia entrò in confidenza con Amelia quando fu convinta che, per quanto cosí vivace, era una povera diavola. Ginia ormai lo capiva solo a guardarle gli occhi o la bocca mal truccata. Amelia andava senza calze, ma perché non ne aveva; portava sempre quel bel vestito, ma non ne aveva un altro. Ginia se ne convinse, una volta che s’accorse che anche lei quando usciva senza cappello si sentiva piú matta. Chi le dava sui nervi era Rosa, che l’aveva capita subito. — Val la pena aver fatto la vita, — disse Rosa, — per doversi mettere a letto quando si strappa il vestito — . Diverse volte Ginia le chiese perché non tornava a posare, e Amelia le diceva che per trovare lavoro bisogna non essere disoccupate.

Sarebbe stato bello non far niente tutto il giorno, e uscire insieme a passeggiare sull’ora che rinfresca ma essere cosí eleganti che, mentre guardavano le vetrine, la gente guardasse loro. — Essere libera come son io, mi fa rabbia, — diceva Amelia. Ginia avrebbe pagato a sentirla parlare con voglia di molte cose che a lei piacevano, perché la vera confidenza è sapere quel che desidera


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