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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/305

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schiacciava la sigaretta con ostentazione. Con la voce piú pacata, disse che non si era servito di quella donna, ma — sorrise — quella donna si era servita di lui. Era sola, s’annoiava al mare; s’erano trovati sulla spiaggia — lei stessa aveva cominciato a scherzare e far storie. — Vede, — mi disse. — Non le ho detto di no, perché mi faceva pena. Ha la borsetta con lo specchio tutto rotto. Io la capisco. Cerca soltanto compagnia e non vuole un soldo: dice che al mare non si lavora. Ma è maligna. È come tutte le donne, che approfittano del ridicolo per imbarazzare un uomo.

Tornammo a casa nelle vie deserte delle due pomeridiane. M’ero deciso a non dare piú consigli a quel ragazzo: era tipo da lasciar sfogare, per vedere fin dove arrivava. Gli chiesi se quella donna, quella signora, non se l’era per caso portata con sé da Torino. — Lei è matto, — mi rispose bruscamente. Ma tutta la spontaneità lo lasciò quando gli chiesi chi gli avesse insegnato a scusarsi di cose che alla gente non facevano né caldo né freddo. — Quando? — balbettò. — Non mi hai detto poco fa di chieder scusa ai miei amici? — dissi.

Mi spiegò che, siccome ero in compagnia, gli dispiaceva che l’avessimo visto con quella donna. — Ci sono persone, — disse, — davanti a cui ci si vergogna di essere ridicoli. — Chi per esempio? — Tacque un attimo. — I suoi amici, — balbettò noncurante.

Mi lasciò in fondo alla scala, e si allontanò sotto il sole. Siccome in quelle ore bruciate Doro riposava, io che a dormire di giorno non riesco, avevo finto di rientrare soltanto per liberarmi di Berti. E adesso cominciava il tedio quotidiano delle ore calde e vuote. Gironzolai per il paese, come sempre, ma non c’erano piú angoli che non conoscessi. Presi allora la strada della villa, curioso di parlare con Clelia. Ma era disperatamente presto, e molto rimuginai seduto su un muricciolo dietro a certe piante che si stagliavano sul mare. Tra l’altro pensai per la prima volta, che qualcuno, non conoscendo bene Clelia, avrebbe detto vedendoci passeggiare e ridere insieme, che tra noi due c’era di piú che una conoscenza cordiale.

Trovai Clelia nel giardino, sdraiata all’ombra su una poltrona di vimini. Parve lieta di vedermi e cominciò a discorrere. Mi disse che Doro era stufo di dipingere sempre il mare e che voleva smettere. Mi scappò un sorriso. — Il suo Guido sarà felice, — dissi. — Perché? — Dovetti allora spiegarle che, secondo Guido, Doro pen-


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