Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/366

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poco fu lui che mi diede la nota. Io stavo attento a non farli ballare. Sentivo Linda che muoveva il piede. Ogni pezzo finito, dicevano «Bravo» e Lubrani allungava il bicchiere.

— Hai talento, — mi disse nel buio.

Feci conto che Amelio stesse a sentirmi. Le variazioni sulla fiamma erano facili. Ogni tanto coprivo un passaggio. — No, — diceva Lubrani, — vuoi fregarci.

Come succede, dopo un po’ la chitarra la prese lui. Senza impegnarsi, si scaldò le mani. Mi diceva «Sai questo, sai quello?» Provò la Paloma. Provò Gelo e Mare. Ma la mano era pesante, si sentiva. Linda disse: — Adesso smettetela.

Cosí finimmo quel barolo e uscimmo in piazza, con le stelle. Era inteso che avremmo cenato sul lago. «Dopotutto è domenica» dissi.

Facemmo in macchina il giro del lago a passo d’uomo. Linda diceva, non a me, — Quant’è bello — . Anche Lubrani si voltava a vedere le canne, e la nebbia sull’acqua. Faceva freddo, questo sí. C’era vento di neve.

Lubrani guidando parlava di Genova. — Sai chi vado a vedere? — Disse un nome come fosse Ferrero o Carletto, e Linda subito mi uscí di mano. Gli batté i pugni sulle spalle e gridò: — Anch’io. — Perché no? — disse lui, — si va tutti.

Parlarono molto di questo Carletto, e cenammo; poi tornammo a Torino e finimmo la notte al Paradiso.


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