Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 1, Einaudi, 1961.djvu/461

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insistevano che stessi con loro. — Da un giorno all’altro può succedere, — dicevano. — Lui è malato, sifilitico. Dobbiamo esser pronti per lo scatto finale. Dobbiamo mantenere i contatti. Se in quel punto la massa ci sfugge di mano, succede un macello.

— Può anche darsi, — dicevo, — e con questo?

— Ma non basta, — dicevano. — Non bisogna dar tempo alla guerra. Diventeremmo un’altra Spagna.

Li vedevo attraverso, come fossero vetro. In tutte quante le paure c’è un discorso proibito, un interesse che comanda e sta nascosto. Si difende la pelle, si difende la pace, queste cose si possono capire — succedono a tutti. Ma che quei due difendessero i denari dei borghesi, i denari che avevano fatto il fascismo — non potevo capirla. Glielo dissi ridendo.

Carletto disse che potevo aver ragione. Ma tornò sul discorso dello scatto finale. — È già successo, — mi diceva, — che s’è persa l’occasione. Una massa sfuggita di mano si fa decimare. Abbiamo visto dei massacri nella storia.

Volevano insomma parlare coi capi. Io risposi che i capi parlavano poco e queste cose le sapevano da un pezzo. — Vieni tu, — disse allora Luciano. — Parla tu con qualcuno.

Questo qualcuno era un signore occhiali d’oro e gilè bianco, che incontrammo davanti al teatro. Era lí con Giulianella e sembrava contento. Offrí a tutti un caffè, poi cianciammo. — Il Maggiore, — ci disse Luciano, — frequenta i concerti. Gli piacerebbe di sentire come suoni.

— Non è mica difficile, — dissi. — Basta che venga all’osteria qualche sera.

— Si va da Beppe, — disse lui, — si parla un po’.

Quel Maggiore era un uomo prudente. Parlò davvero di chitarre e violoncelli. Si fermava per strada ognitanto e diceva la sua. Noialtri intorno aspettavamo che finisse. Teneva a braccetto Giulianella e sembrava suo nonno.

Nel ristorante ci sedemmo in disparte. I tavolini avevano tutti una tovaglia e dei fiori. Non capivo il bisogno di ficcarci là dentro per bere un bicchiere. Ma tant’è, Carletto Giulianella Luciano ci stavano allegri.

Continuammo a parlare di musica. Il Maggiore faceva dei discorsi difficili. Mi guardava. Io guardavo Luciano.

Un bel momento fu Carletto che interruppe. Disse: — Veniamo


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