Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/133

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Ci caccia come lepri di rifugio in rifugio. Finirà per costringerci a combattere anche noi, per strapparci un consenso attivo. E verrà il giorno che nessuno sarà fuori della guerra — né i vigliacchi, né i tristi, né i soli. Da quando vivo qui coi miei, ci penso spesso. Tutti avremo accettato di far la guerra. E allora forse avremo pace.

Malgrado i tempi, qui nelle cascine si è spannocchiato e vendemmiato. Non c’è stata — si capisce — l’allegria di tanti anni fa: troppa gente manca, qualcuno per sempre. Dei compaesani soltanto i vecchi e i maturi mi conoscono, ma per me la collina resta tuttora un paese d’infanzia, di falò e di scappate, di giochi. Se avessi Dino qui con me potrei passargli le consegne; ma lui se n’è andato, e per fare sul serio. Alla sua età non è difficile. Piú difficile è stato per gli altri, che pure l’han fatto e ancora lo fanno.

Adesso che la campagna è brulla, torno a girarla; salgo e scendo la collina e ripenso alla lunga illusione da cui ha preso le mosse questo racconto della mia vita. Dove questa illusione mi porti, ci penso sovente in questi giorni: a che altro pensare? Qui ogni passo, quasi ogn’ora del giorno, e certamente ogni ricordo piú inatteso, mi mette innanzi ciò che fui — ciò che sono e avevo scordato. Se gli incontri e i casi di quest’anno mi ossessionano, mi avviene a volte di chiedermi: «Che c’è di comune tra me e quest’uomo che è sfuggito alle bombe, sfuggito ai tedeschi, sfuggito ai rimorsi e al dolore?» Non è che non provi una stretta se penso a chi è scomparso, se penso agli incubi che corrono le strade come cagne — mi dico perfino che non basta ancora, che per farla finita l’orrore dovrebbe addentarci, addentare noi sopravvissuti, anche piú a sangue — ma accade che l’io, quell’io che mi vede rovistare con cautela i visi e le smanie di questi ultimi tempi, si sente un altro, si sente staccato, come se tutto ciò che ha fatto, detto e subito, gli fosse soltanto accaduto davanti — faccenda altrui, storia trascorsa. Questo insomma m’illude: ritrovo qui in casa una vecchia realtà, una vita di là dai miei anni, dall’Elvira, da Cate, di là da Dino e dalla scuola, da ciò che ho voluto e sperato come uomo, e mi chiedo se sarò mai capace di uscirne. M’accorgo adesso che in tutto quest’anno, e anche prima, anche ai tempi delle magre follie, dell’Anna Maria, di Gallo, di Cate, quand’eravamo ancora giovani e la guerra una nube lontana, mi accorgo che ho vissuto un solo lungo isolamento, una futile vacanza, come un ragazzo che


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