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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/241

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con lui c’era stato da parte mia del dispetto, del rancore. Il pensiero che uno di noi se ne andasse con lei compiacente per la selva, magari nel chiosco, e che insieme, alla luce del giorno... Ricordavo il Po, ricordavo il pantano. Dov’era piú l’odor di morte dell’estate? e tante chiacchiere, tanti discorsi tra noi?

Rintronò una botta di fucile. Tesi l’orecchio. Seguirono voci allegre, distinsi quella di Pieretto. Un’altra botta. In piedi, cercai con gli occhi tra le vigne la nuvoletta di fumo. Erano in basso, quasi tra i càrpini. Sono scemi quei due, borbottai, davvero tirano ai fagiani. E ributtatomi sull’erba, ascoltavo il brusio delle cose, la vibrazione di quei colpi, la vita del Greppo che adesso potevo godere tranquillo in tutti i suoi avvallamenti e la sua pace.

Risalimmo quando l’ombra del Greppo già riempiva la pianura. Avevano ucciso una diecina di passerotti, che mi mostrarono imbrattati di sangue, nel carniere, in mezzo alle cartucce. Gabriella dava il braccio a Oreste e Pieretto, e a me fece il broncio; mi chiesero dove diavolo fossi rimasto. — Un’altra volta ti sparano addosso. Sta’ attento, — mi disse Poli calmo calmo.

A tavola riparlammo di caccia, dei fagiani, delle possibili battute. Oreste discuteva eccitato, convinto, come da un pezzo non faceva piú. Gabriella lo covava con gli occhi, con un’aria perplessa e distante. — Davide e Cinto hanno fatto fuori la riserva, — diceva Oreste. — Perché non cambi il guardaboschi?

— Tanto meglio, — diceva Poli, — la caccia è un gioco da ragazzi.

— Da principi, — disse Pieretto, — da signori feudali. Quel che ci vuole sul Greppo.

Poi Gabriella si raggomitolò sulla poltrona, e ci ascoltò discorrere e non chiese né le carte né la musica. Fumava e ascoltava, ci guardava a uno a uno e sembrava sorridere. Venne da bere e non ne volle. Io guardavo la faccia di Poli e mi chiedevo cosa fossero state le sere del Greppo quando lui e Gabriella ci stavano soli. Dovevamo pure andarcene un giorno. E anche loro dovevano andare. Che cos’era questa villa nelle sere d’inverno? Mi prese una pena improvvisa, uno sconforto, all’idea che l’estate sul Greppo, l’amore d’Oreste, quelle parole e quei silenzi, e noi stessi, tutto sarebbe passato, tra poco, finito.

Ma Gabriella saltò in piedi, si stirò gemendo come una bambina, e disse senza nemmeno guardarci: — Spegnete la luce. Vero, Oreste, che per vedere i pipistrelli bisogna spegnere la luce?


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