Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/26

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di scontento che gli mangiò mezza la faccia. — Non c’è nessuno in portieria, cosa credi? che sia festa? Vieni subito a dare una mano a Domenico — . Chiusi. Uscii fuori. Non volli rispondere piú. Dopo una notte come quella era tutto ridicolo.

Finii la mattina andando a zonzo, nel disordine e nel sole. Chi correva, chi stava a guardare. Le case sventrate fumavano. I crocicchi erano ingombri. In alto, tra i muri divelti, tappezzerie e lavandini pendevano al sole. Non sempre era facile distinguere tra le nuove le rovine vecchie. Si osservava l’effetto d’insieme e si pensava che una bomba non cade mai dov’è caduta la prima. Ciclisti avidi, sudati, mettevano il piede a terra, guardavano e poi ripartivano per altri spettacoli. Li muoveva un superstite amore del prossimo. Sui marciapiedi, dov’era avvampato un incendio, s’accumulavano bambini, materassi, suppellettili rotte. Bastava una vecchia a vuotare l’alloggio. La gente guardava. Di tanto in tanto studiavamo il cielo.

Faceva strano vedere i soldati. Quando passavano in pattuglie, con la pala e il sottogola, si capiva che andavano a sterrare rifugi, a estrarre cadaveri e vivi, e si sarebbe voluto incitarli, gridargli di correre, far presto perbacco. Non servivano ad altro, si diceva tra noi. Tanto la guerra era perduta, si sapeva. Ma i soldati marciavano adagio, aggiravano buche, si voltavano anche loro a sogguardare le case. Passava una donna belloccia e la salutavano in coro. Erano gli unici, i soldati, ad accorgersi che le donne esistevano ancora. Nella città disordinata e sempre all’erta, piú nessuno osservava le donne di un tempo, nessuno le seguiva, nemmeno vestite da estate, nemmeno se ridevano. Anche in questo la guerra, io l’avevo prevista. Per me questo rischio era cessato da un pezzo. Se avevo ancora desiderî, non avevo piú illusioni.

In un caffè dove lessi un giornale — uscivano ancora i giornali — tra gli avventori si parlava a bassa voce. Il giornale diceva che la guerra era dura, ma era una cosa tutta nostra, fatta di fede e di passione, l’estrema ricchezza che avessimo ancora. Era successo che le bombe eran cadute anche su Roma, distruggendo una chiesa e violando delle tombe. Questo fatto impegnava anche i morti, era l’ultimo di una serie sanguinosa che aveva indignato tutto il mondo civile. Bisognava aver fede in quell’ultimo insulto. Si era a un punto che le cose non potevano andar peggio. Il nemico perdeva la testa.


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