Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/299

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dall’ingresso ancora ingombro di steccati e di macerie. Un posto elegante. Momina rovesciò la pelliccia e mi guardò. — Lei ormai conosce tutti i miei amici, — mi disse. — Da Roma a Torino è un bel salto. Dev’essere bello lavorare come fa lei...

«Che cosa cerchi? un impiego?» pensai.

— ...Non si spaventi, — continuava, — è cosí piccolo il giro qui a Torino... Non voglio chiederle consigli. Lei ha gusto ma la mia sarta mi basta... È un piacere parlare con chi vive un’altra vita.

Parlammo un poco di Torino e di Roma — mi guardava stringendo gli occhi nel fumo — , delle case che non si trovano, di quel nuovo caffè; disse che a Roma non c’era mai stata ma era stata a Parigi, e se non pensavo che sarei andata a Parigi per il mio lavoro: dovevo assolutamente: viaggiare per lavoro era il solo viaggiare possibile, e perché mi accontentavo di Torino?

Allora dissi che a Torino mi ci avevano mandato. — Sono nata, a Torino.

Anche lei era nata a Torino, mi disse, ma cresciuta in Svizzera e sposata a Firenze. — Mi hanno allevata da signora, — disse. — Ma che cos’è una signora che non può prendere il treno domattina e andare in Spagna, andare a Londra, andare dove le pare?

Aprii bocca, ma lei disse che dopo la guerra soltanto chi lavorava come me poteva prendersi il lusso.

— Ma chi lavora non ha tempo, — dissi.

E lei tranquilla: — Non val la pena di lavorare, soltanto per venire a Torino.

Credetti di averla capita, e le dissi che da Torino io mancavo da quasi vent’anni, e c’ero venuta anche per rivedere casa mia.

— Lei è sola, mi pare.

— La casa dove stavo, il quartiere...

Mi guardò con quel sorriso scontento. — Non le capisco queste cose, — disse fredda. — Probabilmente lei non ha piú nulla a che fare con la ragazza ch’è nata a Torino. La sua famiglia...

— Morti.

— ... se non fossero morti, adesso la farebbero ridere. Che cos’ha piú di comune con loro?

Era cosí fredda e staccata che la vampa di sangue mi rimase in faccia e non seppi che dire. Mi sentii sciocca. «Dopotutto, è un complimento che t’ha fatto». Lei mi guardò canzonatoria, come se avesse capito.


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