Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/331

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sigaretta di Momina. Si sentiva il lontano stridore di un tram. Indovinai l’ombra piú chiara della finestra.

— Ce l’avevi con me? — disse Momina canzonatoria.

Sentii lo sforzo di Rosetta per domare la voce. Non ci riuscí. Balbettò adagio:

— Non devi ridere...

— Lo faccio per darti coraggio, — disse l’altra freddamente. — Lo faccio per te. Cerca d’essere intelligente, lo sei. Che cosa è successo? Da parte mia, niente. Ti ho forse offesa? Ti ho detto di fare o non fare questo o quello? Ti ho soltanto aiutata a veder chiaro nei tuoi pasticci... Hai paura di questo? Io capisco ammazzarsi... ci pensano tutti... ma farlo bene, farlo che sia una cosa vera... Farlo senza polemica... Tu invece mi hai l’aria di una sartina abbandonata...

— Io... ti odio, — balbettò Rosetta, ansante.

— Ma perché? — disse Momina seria, — di che cosa mi rimproveri? di essere stata troppo per te, o troppo poco? Che c’entra, siamo amiche.

Rosetta non rispose, e Momina non continuò. Le sentivo respirare. Posai alla cieca il bicchiere che avevo in mano. Mormorai: — Si sieda.

Si sedette. Capii che potevo parlare. Allora dissi che, benché io non c’entrassi, visto che eravamo insieme potevo dire una parola anch’io. Ne avevo sentite di tutti i colori su quel fatto, e nessuna vera. — Se è una questione tra voi due, — dissi, — parlate chiaro e sia finita.

Momina si contorse nella poltrona per cercare una sigaretta. La luce del cerino mi accecò, le intravidi i capelli corti sugli occhi.

— Cos’è? avete fatto l’amore insieme?

Né l’una né l’altra rispose. Momina si mise a ridere e tossire.


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