Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/356

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XXIII.

Il giorno dopo in via Po ebbi una visita della Nene, che volle vedere i salottini e mi disse ch’era stata una sciocca a sentirsi male. Guardò nicchie e specchiere, porcellane e cornici, gironzolando, e m’invitò a una festicciola che volevano dare nello studio di Loris. Chiese perché non arredavo il negozio con qualcosa di moderno. Disse male di Febo. Parlò dei pittori giovani di Torino, con intenzione e ingenuità. Le risposi che eseguivo dei progetti e che in quei giorni avevo molto da fare.

Lo stesso giorno Mariella mi mandò un mazzo di rose bianche e un bigliettino: «Ricordo di una candida gita». Durante la cena di Noli la baronessa ci aveva tutte interrogate se a Savona c’eravamo divertite. Anche Mariella m’invitò a una serata ristretta in casa sua: c’era qualcuno che leggeva delle poesie. Le risposi che avevo da fare.

Morelli s’invitò lui a cena al mio tavolino. Chiese perché non cenavamo di sopra, nella mia camera. Gli risposi che queste cose non le facevo nemmeno con un’amica.

Persino Maurizio si fece vivo con una lunga lettera, dove mi diceva che tutto sommato gli mancavo, che qualcuno a Roma cominciava già a prenderlo in giro sulla sua vedovanza, e per piacere non gli tornassi sposata con un giocatore del Torino e insomma gli dicessi se quell’anno doveva confermare la villa. M’accorsi che non riuscivo piú a vedere le facce di Roma, e sovente nella memoria scambiavo Maurizio con Guido. Ma quello che non confondevo erano i tempi stravaganti di Guido, i suoi bronci e le sue smanie e le mie, e il tranquillo rassegnarsi di Maurizio. Maurizio era furbo,


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