Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/472

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gne, e cascine, boschetti di noci, di ciliegi e di mandorli, che arrivavano a Sant’Antonino e oltre, e di là si scendeva a Canelli, dove c’erano i vivai coi sostegni di cemento e le bordure di fiori.

Dei fiori del Nido ne avevo visti l’anno prima, quando Irene e la signora Elvira c’erano andate insieme e tornate con dei mazzi ch’erano piú belli dei vetri della chiesa e dei paramenti del prete. L’anno prima capitava d’incontrare la carrozza della vecchia sulla strada di Canelli; Nuto l’aveva vista e diceva che il Moretto servitore che la guidava sembrava un carabiniere, col cappello lucido e la cravatta bianca. Da noi questa carrozza non s’era mai fermata, solo una volta era passata per andare alla Stazione. Anche la messa la vecchia se la sentiva a Canelli. E i nostri vecchi dicevano che tanto tempo fa, quando la vecchia non c’era ancora, i signori del Nido non andavano nemmeno a sentir messa, ce l’avevano in casa, tenevano un prete che la diceva tutti i giorni in una stanza. Ma questo era ai tempi che la vecchia era ancora una ragazza da niente e faceva l’amore a Genova col figlio del Conte. Poi era diventata lei la padrona di tutto, era morto il figlio del Conte, era morto un bell’ufficiale che la vecchia s’era sposato in Francia, erano morti i loro figli chi sa dove, e adesso la vecchia, coi capelli bianchi e un parasole giallo, andava a Canelli in carrozza e dava da mangiare e da dormire ai nipoti. Ma ai tempi del figlio del Conte e dell’ufficiale francese, di notte il Nido era sempre acceso, sempre in festa, e la vecchia che allora era ancor giovane come una rosa dava dei pranzi, dei balli, invitava la gente da Nizza e da Alessandria. Venivano belle donne, ufficiali, deputati, tutti in carrozza a tiro da due, coi domestici, e giocavano a carte, prendevano il gelato, facevano nozze.

Irene e Silvia sapevano queste cose, e per loro essere ben trattate dalla vecchia, ricevute, festeggiate, era come per me dare un’occhiata dal terrazzo nella stanza del pianoforte, saperle a tavola sopra noialtri, veder l’Emilia fargli i versi con la forchetta e col cucchiaio. Soltanto, essendo tra donne, ci soffrivano. E poi loro, tutto il giorno ciondolavano sul terrazzo o in giardino — non avevano un lavoro, una vera fatica che le occupasse — , nemmeno dietro alla Santina ci stavano volentieri. Si capisce che la voglia di andarsene dalla Mora, di entrare in quel parco sotto i platani, di trovarsi con le nuore e i nipoti della contessa, le faceva addirittura ammattire. Era come per me vedere i falò sulla collina di Cassinasco o sentir fischiare il treno di notte.


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