Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/475

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Io sapevo com’era la stanza, i due mazzi di fiori e di foglie rosse sul piano, le tendine ricamate da Irene, e la lampada di marmo trasparente appesa alle catenelle, che faceva una luce come la luna riflessa nell’acqua. Certe sere tutt’e quattro s’imbacuccavano e uscivano sul terrazzo nella neve. Qui i due uomini fumavano il sigaro e allora, stando sotto la vite vergine secca, si sentivano i discorsi.

Veniva anche Nuto, a ascoltare i discorsi. Il bello era sentire Arturo che faceva l’uomo in gamba e raccontava quanti ne aveva buttati giú dal treno a Costigliole l’altro giorno o quella volta in Acqui che s’era giocato l’ultimo soldo e se perdeva non tornava piú a casa e invece aveva vinto da pagare una cena. Il toscano diceva: — Ti ricordi che desti quel pugno... — Allora Arturo raccontava quel pugno.

Le ragazze sospiravano appoggiate alla ringhiera. Il toscano si metteva accanto a Irene e raccontava di casa sua, di quando andava a suonar l’organo in chiesa. A un certo punto i due sigari ci cadevano ai piedi, nella neve, e allora là sopra si sentiva susurrare, agitarsi, qualche sospiro piú forte. Alzando gli occhi non si vedeva che la vite secca e tante stelline fredde in cielo. Nuto diceva: — Vagabondi, — con la voce tra i denti.

Sempre ci pensavo, e chiedevo anche all’Emilia, ma non si poteva capire come fossero accoppiati. Il sor Matteo brontolava soltanto su Irene e il figlio del medico, e diceva che un giorno o l’altro voleva dirgliene quattro. La signora faceva l’offesa. Irene alzava le spalle e rispondeva che lei quel villano d’Arturo non l’avrebbe nemmeno voluto per servitore ma non poteva farci niente se veniva a trovarle. Silvia diceva allora che lo scemo era il toscano. La signora Elvira si offendeva un’altra volta.

Che Irene parlasse al toscano non era possibile, perché Arturo ci stava attento e comandava lui l’amico. Restava dunque che Arturo faceva il filo a tutt’e due, e sperando di prendersi Irene, si divertiva anche con l’altra. Bastava aspettare la bella stagione e andargli dietro per i prati. Si sarebbe visto subito.

Ma intanto andò che il sor Matteo prese di petto quell’Arturo — la storia si seppe da Lanzone che passava per caso sotto il portico — e gli disse che le donne sono donne e gli uomini uomini. No? Arturo, che aveva giusto staccato allora un mazzetto, si batté col frustino sullo stivale e, annusando i fiori, guardò storto il pa-


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