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Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/494

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a terra, era Irene. Sembrava quelle freddoline che vengono nei prati dopo la vendemmia o l’erba che continua a vivere sotto una pietra. Portava i capelli sotto un fazzoletto rosso, mostrava il collo e le orecchie nude. L’Emilia diceva che non avrebbe mai piú avuto la testa di prima — che la bionda adesso sarebbe stata Santina che aveva una testa anche piú bella d’Irene. E Santina sapeva già di valere, quando si metteva dietro la griglia per farsi guardare, o veniva tra noi nel cortile, sui sentieri, e chiacchierava con le donne. Io le chiedevo che cosa avevano fatto in Alba, che cosa aveva fatto Silvia, e lei se ne aveva voglia rispondeva che stavano in una bella casa coi tappeti, davanti alla chiesa, e certi giorni venivano le signore, i bambini, le bambine, e giocavano mangiavano le paste dolci, poi una sera erano andate al teatro con la zia e con Nicoletto, e tutti vestivano bene, le bambine andavano a scuola dalle monache, e un altr’anno ci sarebbe andata anche lei. Della giornata di Silvia non mi riuscí di sapere gran che, ma doveva aver ballato molto con gli ufficiali. Malata non era stata mai.

Ripresero a venire alla Mora a trovarle i giovanotti e le amiche di prima. Quell’anno Nuto andò soldato, io adesso ero un uomo e non succedeva piú che il massaro mi menasse una cinghiata o qualcuno mi dicesse bastardo. Ero conosciuto in molte cascine là intorno; andavo e venivo di sera, di notte; parlavo a Bianchetta. Cominciavo a capire tante cose — l’odore dei tigli e delle gaggie aveva un senso anche per me, adesso sapevo che cos’era una donna, sapevo perché la musica sui balli mi metteva voglia di girare le campagne come i cani. Quella finestra sulle colline oltre Canelli, di dove salivano i temporali e il sereno, e il mattino spuntava, era sempre il paese dove i treni fumavano, dove passava la strada per Genova. Sapevo che fra due anni avrei preso anch’io quel treno, come Nuto. Nelle feste cominciavo a far banda con quelli della mia leva — si beveva, si cantava, si parlava di noialtri.

Silvia adesso era di nuovo pazza. Ricomparvero alla Mora l’Arturo e il suo toscano, ma lei nemmeno li guardò. S’era messa con un ragioniere di Canelli che lavorava da Contratto e sembrava che dovessero sposarsi, sembrava d’accordo anche il sor Matteo — il ragioniere veniva alla Mora in bicicletta, era un biondino di San Marzano, portava sempre il torrone a Santina — , ma una sera Silvia sparí. Rientrò soltanto il giorno dopo, con una bracciata di fiori. Era successo che a Canelli non c’era solo il ragioniere ma un bel-


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