Pagina:Pavese - Romanzi Vol. 2, Einaudi, 1961.djvu/50

Da Wikisource.

I passanti giravano al largo. Ma i soldati si annoiavano e ridevano tra loro.

Su un angolo m’imbatto nel fratello dell’Egle. S’era messo in divisa, coi nastrini e il cinturone, e squadrava la strada, indignato.

— O Giorgi, — gli dissi, — finita la licenza?

— Quel che succede non doveva succedere, — disse. — Quest’è la fine.

— Cosa si dice nell’esercito?

— Niente si dice. Si aspetta. Nessuno ha il coraggio di venirci attaccare. Sono un branco di vigliacchi.

— Chi, vi deve attaccare?

Giorgi mi guardò, sorpreso e offeso.

— Tutti scappano, tutti hanno paura, — disse, — e hanno aspettato per vent’anni a vendicarsi. Mi sono messo in divisa, la divisa della guerra fascista, e nessuno ha il coraggio di venire a strapparmela. Siamo in pochi. Non lo sanno questi vigliacchi che siamo in pochi.

Allora gli dissi che il suo capo era il re e che il colpo veniva dal re. Lui doveva ubbidire.

Sorrise, con quell’aria di disgusto. — Anche voi. Non capite che siamo soltanto al principio? Che dovremo difenderci?

Se ne andò, con la bocca serrata. Gli tenni dietro con gli occhi, si perdé nella folla. Erano in molti come lui? Mi chiesi se tutti i Giorgi, tutti i bei ragazzi che avevano fatto la guerra, ci squadravano in quel giorno cosí.

«Sarà perduta ma non è finita, — brontolavo tra me, — ne devono ancora morire». E guardavo le facce, le case. «Prima che l’estate finisca, quanti di noi saranno a terra? Quanto sangue schizzato sui muri?» Guardavo le facce, le occhiaie, chi andava e veniva, il tranquillo disordine. «Toccherà a quel biondino. Toccherà a quel tranviere. A quella donna. Al giornalaio. A quel cane».

Finí che andai verso la Dora, dov’era la ditta di Fonso. Girai nei viali, dopo il ponte; avevo a destra la collina chiara e immensa. È un quartiere di grosse case popolari, e di prati, di muriccioli, di casette residue da quando qui arrivava la campagna. Il cielo era piú caldo e piú aperto; la gente — donnette, ragazzi — formicolavano tra i marciapiedi, l’erba e le botteghe. Grandi scritte sui muri, d’incauto entusiasmo, erano fiorite nella notte.

Dalla ditta di Fonso — un cancello e un capannone in fondo a un prato — veniva il cigolio e il cupo tonfo delle macchine. «Dun-


46